Ho un figlio e una figlia.
Uno è normodotato, l’altra è disabile.
Quando firmo comunicazioni riguardanti entrambi, sono la “Mamma di Davide e Ariel Apollonio”, anche se vengo più spesso associata alla secondogenita “speciale” (brivido di freddo lungo la schiena mentre lo scrivo) che al primogenito “normale”.
Non mi stancherò mai di ripeterlo: non sono una super mamma, non sono una guerriera.
Nella mia famiglia non siamo speciali, non siamo normali: siamo noi, semplicemente, unicamente, noi.
Ognuno di noi, e con “noi” intendo tutti noi, il genere umano, è contemporaneamente normale e speciale, come dice un vecchio adagio: “la bellezza è begli occhi di chi guarda” e non solo la beltà.
Non beatificate noi genitori di disabili, non santificate i nostri i figli, vi prego, ma nemmeno abbiatene paura: diverso non è sinonimo di pericoloso.
Non esistono le super mamme o i super papà: esistono solo le mamme e i papà.
Facciamo tutto ciò che possiamo per i nostri ragazzi, a volte anche di più, ma qualsiasi genitore degno di tal nome farebbe altrettanto per i propri figli. Essere genitore non è solo generare un figlio, ma amarlo e prendersene cura, indipendentemente dalle sue caratteristiche personali.
Essere genitore significa camminare giorno dopo giorno a fianco del bambino e imparare a lasciarlo andare avanti da solo, man mano che cresce. Non tutti i genitori hanno questa possibilità, quindi, siate felici e godetevi la gioia della crescita dei vostri pargoli. Vi mancheranno, ma il vostro dolore sarà sicuramente minore di chi è costretto a vederli crescere con la consapevolezza che avranno sempre bisogno di qualcuno che badi a loro.
La disabilità delle nostre creature ci rende duri come l’acciaio e molli come la gommapane, empatici verso i sentimenti altrui fino a sentirli pulsare sotto la pelle e distanti, chiusi in un mondo protetto dalle emozioni, perché il dolore affrontato è troppo, talmente tanto che una sola, ulteriore, piccolissima lacrima potrebbe incrinare la nostra anima per sempre.
Ogni gesto, ogni parola, ogni passo hanno come meta finale il benessere dei nostri figli.
Non abbiamo bisogno di riconoscimenti, di premi, di apprezzamenti, di etichette con prefissi accrescitivi, non servono a noi e non sono utili ai nostri figli. Certo, il nostro ego ne uscirebbe rafforzato, ma cosa resterà una volta scelta la collocazione del trofeo e appeso l’attestato? Abbiamo bisogno di azioni concrete, di iniziative per il dopo-di-noi, di posti di lavoro per i nostri figli, di professionisti preparati.
Cosa vogliamo da voi? Moltissimo e nulla: dateci una mano a costruire un mondo che sia inclusivo e accogliente, che ci consenta di lasciare questo mondo con serenità, quando sarà il momento; fateci sentire parte di un qualcosa più grande del nostro piccolo nucleo famigliare; rispettate la diversità dei nostri figli e se, avete domande, fatele pure: meglio una domanda sciocca, ma sinonimo di interesse che la sensazione di essere invisibili.
Se ci vedete isolati, andate oltre gli occhiali da sole, cercate il nostro sguardo e offriteci un po’ del vostro tempo: anche il marmo più freddo e compatto, ha venature sottili che portano al centro del cuore.
