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Le vacanze (e il masking)

Sto cercando di prenotare le vacanze e mi rendo conto che la condizione di Ariel complica tutto: l’unica certezza che ho è che, per la pace nel mondo, è bene che non ci siano montagne nell’arco di 70 km.

Quindi opto per il mare.

Ovviamente al risparmio, perché la Naspi non consente stravizi, e con il parcheggio sotto “casa”, perché l’anno scorso tra la Princess appesa al braccio destro, sotto al quale avevo incastrato anche il materassino, il trolley a sinistra, lo zaino sulla schiena e Baloo che tirava Davide come una capra di montagna, mi sono sentita molto la sherpa della Romagna.

E da questi elementi in poi è tutto un quiz:

  • appartamento o hotel?
  • se hotel, mezza pensione o pensione completa? E se fosse in all inclusive?
  • meglio risparmiare 100 euro o meglio 4 mq in più a disposizione di Miss Iperattività?
  • con o senza piscina?
  • con o senza servizio spiaggia?
  • al mattino borghetti e al pomeriggio spiaggia o viceversa?
  • prenoto i parchi in anticipo o mi affido al destino?
  • porto Baloo o lo lascio vivere in pace almeno 5 giorni senza quella frantuma sfere di sua sorella?

E poi…

  • chissà se devo avvisare l’hotel che è autistica. No, lascio loro la sorpresa.
  • chissà se fanno il menù speciale per Ariel. Aspetta che me lo segno e chiedo;
  • chissà se la camera sarà insonorizzata. Questo non lo chiedo, per non agitarli più del dovuto;
  • chissà se trovo un bar dove fanno le “brioche di Ariel”, ché lei la colazione a buffet la schifa proprio, noblesse oblige, ça va sans dire! Aspetta che faccio una raccolta firme su change.org per costringere il bar della spiaggia a cambiare pusher di cornetti.

Ed infine:

  • speriamo che l’ombrellone sia vicino al mare, ma non troppo;
  • speriamo che non ci siano alghe, conchiglie, granchi. Insomma una spiaggia senza forma di vita, soprattutto senza troppi homo sapiens;
  • speriamo che non le vengano troppe crisi;
  • speriamo di non trovare traffico o coda in autostrada, perché non ho voglia di finire sui giornali: “Madre rincorre in autostrada la figlia autistica che urlando ” Ah Ah Ah” si infila nei veicoli in coda ordinando CO CA”

E niente, dopo aver prenotato le vacanze di famiglia, avrò bisogno di andare in ferie.

Da sola.

In spa.

Io, avvolta in morbida spugna bianca, ciabattine da camera, una pila di libri e due cetrioli sugli occhi.

Intanto faccio masking*, sorrido e lascio credere al mondo che tutto va bene, ché già fa caldo e la gente non ha voglia di sentire lagne e una persona forte è sempre più apprezzata di una fragile. Chissà perché…


Edit: in realtà stamattina ho prenotato a Rimini: conosco la strada, i posti da visitare, i ritmi. Ho bisogno di vacanze che mi consentano di tornare a casa in “breve tempo” e che mi diano quel tanto di prevedibilità da poter inserire, almeno ogni tanto, il pilota automatico.letteralmente “mascheramento”. Termine spesso associato all’autismo per indicare la strategia tramite la quale le persone autistiche imitano i comportamenti neurotipici riducendo anche eventuali stereotipie (stimming). Spesso anche le persone neurotipiche fanno masking in situazioni sociali che reputano stressanti per mantenere il controllo della propria immagine pubblica. Esempio: quando mi toccate senza autorizzazione, io sorrido, ma in realtà dentro vi sto mandando a fanculo.
La differenza è che ad una persona autistica il masking richiede molta più energia diventando quindi una strategia di difficile mantenimento.

* letteralmente “mascheramento”. Termine spesso associato all’autismo per indicare la strategia tramite la quale le persone autistiche imitano i comportamenti neurotipici riducendo anche eventuali stereotipie (stimming). Spesso anche le persone neurotipiche fanno masking in situazioni sociali che reputano stressanti per mantenere il controllo della propria immagine pubblica. Esempio: quando mi toccate senza autorizzazione, io sorrido, ma in realtà dentro vi sto mandando a fanculo.
La differenza è che ad una persona autistica il masking richiede molta più energia diventando quindi una strategia di difficile mantenimento.

Masking all’acido ialuronico e melograno
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Con le ginocchia sbucciate

Ho visto una lucciola.

Non una di quelle in minigonna e tacchi a spillo, sciocchi!

Ho visto una lucciola di quelle con il culo luminoso.

Ed è subito infanzia.

Ripenso al brivido delle ciliegie rubate ad Aligi che, da vero signore, ad un certo punto usciva urlando solo per darci l’ebbrezza della fuga; al ghiacciolo che si squagliava appiccicoso in un rivolo verde lungo le dita; alle mutande che la nonna mi infilava in testa, un codino per gamba; ai picnic improvvisati sotto al pioppo  dietro casa; alle corse in bicicletta; alla Messa mattutina a Merlana con l’affanno della perenne ricerca del segno sul libretto della Prima Comunione, mentre Don Giovanni procedeva spedito.

Ricordo, soprattutto, le ginocchia sbucciate.

I bambini di oggi hanno le ginocchia sbucciate?

Per me la qualità dell’infanzia si valuta in croste e cicatrici.

Io ho avuto una splendida infanzia, me la porto ancora sulla pelle.

Ho deciso:


Domani sera andrò a rubare ciliegie;

Mercoledì farò colare il ghiacciolo alla menta sulle dita e leccherò via lo sciroppo appiccicoso;


Giovedì mattina farò fare ai bambini un picnic in giardino;

Venerdì metterò ad Ariel le mutande in testa in onore della nonna;

Sabato andremo a Castelmonte e perderemo più volte il filo della Messa.

Domenica i bambini saranno con Luca, quindi comprerò una bottiglia di spritz e brinderò all’estate che è alle porte.

Chissà, magari alla fine della giornata indosserò di nuovo gli shorts con le ginocchia sbucciate.

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Alle 22.00

Il campanello alle 22.00?

Davide: “Non sarà mica uno scherzo?”

Eh, già, noi del Castello di Capital City in Svevia, come tutte le genti di confine, siamo piuttosto diffidenti nei confronti di chi vagola al buio nel cuore della notte, ché alle 22 si va a dormire, perché il giorno dopo si lavora o si va scuola.

Anche se domani è sabato, anche se è il primo giorno di vacanza.

La verità è che a Svevia Palace non siamo abituati a ricevere visite, men che meno a sorpresa, e, quindi, pensiamo subito ai ladri o, peggio, a qualcuno che ci vuole proporre un cambio di piano luce e gas, ma quella è un’altra storia.

Ops… Mi sono persa…

Ah sì… Il campanello alle 22.00…

Ok, suona il campanello, mentre sto cercando di convincere la Princess che Masha ha già cantato troppe volte “OPERAAAA! Vogliamo fare un’operaaa!” e che è ora di andare a dormire.

Con la coda dell’occhio guardo il display del telefono che si illumina al buio, vedo un nome e sorrido.

Davide: “Non sarà mica uno scherzo?”

“No, anzi, vieni!”, gli rispondo.

Accendo le luci del parco e al di là della recinzione vedo una delegazione di genitori e ragazzi della 5^ A.

Sono venuti a salutare la loro amica Ariel e a portarle dei doni: una bandiera e un fotolibro affinché lei si ricordi sempre di loro, come se fosse possibile il contrario…

Poi una scorta di Nutella e un taccuino per me “sperando che ti possa aiutare a scrivere quello che sai…”

Quando sono andati via, Davide si è messo a piangere, commosso da tanta attenzione per la sua sorellina. Io ho già abbondantemente dato ieri, ma anche nei giorni scorsi e anche oggi.

Ci siamo quindi stesi vicini e abbiamo letto insieme il libro dei ricordi di Ariel, che sorrideva ad ogni fotografia; poi abbiamo sfogliato il libro preparato dai suoi amici di 4^ che a settembre l’accoglieranno nel loro gruppo.

Come molti di voi sapranno, ho provato a lungo a costruire un ponte che mediasse tra persone autistiche e neurotipiche, ma ho fallito: nel mondo degli adulti gli interessi diventano più forti di tutto.

Quello che ho imparato in questi giorni, invece, è che i migliori ingegneri sono i bambini: non conoscono i luoghi comuni sull’inclusione, ma costruiscono ponti eccezionali.

Signore e Signori, questa non è inclusione, questo è AMORE per la loro amica Ariel.

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Buon viaggio

Ultimo giorno di Primaria per i compagni di Ariel: loro passeranno alla Scuola Secondaria, lei, invece, si fermerà ancora un anno.

In questi ultimi mesi, ogni volta che l’ho portata a scuola, mentre aspettavamo di entrare, ho osservato i suoi compagni con un misto di stupore e nostalgia: quanto sono cresciuti in questi anni! Li ho visti bambini di tre anni e ora sono splendidi undicenni.

Quei minuti in automobile aspettando che gli altri entrassero e noi chiuse lì ad aspettare che non ci fosse troppo rumore, troppe persone, troppa vita, sono stati una metafora del suo futuro: i compagni vanno avanti, lei resta indietro.

Dall’esterno è facile dire: “ha ormai 11 anni, dovresti prendere la situazione per quello che è!”, dimostrando non solo di non conoscermi, ma soprattutto di non sapere che i ragazzi autistici, come tutti i loro coetanei, affrontano una fase piuttosto difficile che si chiama adolescenza con l’aggravante, a volte, come succede ad Ariel, di non poter comunicare e condividere con gli amici il proprio disagio dato dal corpo che cambia.

Ariel è una persona in evoluzione, non una statua! Resta indietro, questo sì! Procede a passi di formica, poi ne fa uno da elefante e magari un paio di gambero, ma giorno dopo giorno prosegue il suo percorso.

Ora lei non sta bene. L’enuresi diurna, l’ansia, la rabbia e l’ipersensorialità alle stelle, le rendono ancora più difficile socializzare, ma i suoi amici sono sempre stati felici di stare con lei.

Grazie, Valeria, Victor, Davide e Lorenzo,
per essere entrati nella vita di Ariel quando era già grandicella e di non esservi soffermati su ciò che non possiede, bensì di aver apprezzato quanto può dare.

Grazie, Jessica, Greta, Alessio, Nicholas e Nicola,
per 8 anni di amicizia e affetto, rispetto e accoglienza.

Grazie, Alice e Gloria,
per quell’invito in piscina: è uno dei ricordi che porterò sempre nel cuore, perché avete accolto Ariel a braccia aperte e accettato con affetto e consapevolezza la sua breve presenza.

Grazie, Benedetta,
per tutte le passeggiate mano nella mano.

Grazie, Tommy,
per essere stato il suo primo e unico fidanzato: è proprio vero che il primo amore non si scorda mai.

Grazie mille a tutti voi genitori che in questi 8 anni ci avete sempre fatte sentire parte del gruppo, e non vi siete mai arresi davanti ad un rifiuto, comprendendo che il benessere di Ariel è la cosa più importante e continuando ad invitarci nonostante tutto.

Grazie,
Maestra Monica e Maestra Simonetta, le frittelle e gli aperitivi alla fine dei colloqui individuali resteranno impressi nel mio cuore.

Settembre sembra lontano, spero che per allora la Princess stia meglio e che ci siano ancora le Maestre Lidia e Laura, i suoi angeli di sempre.

Oggi si chiude un capitolo importante della vita di Ariel e, di riflesso, della mia.

Buon viaggio, ragazzi della 5^ A, e non dimenticatevi della vostra amica Ariel che, a modo suo, vi amerà sempre.

La t-shirt per la festa di fine anno
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“Terapie”

Ci sono cose che non dovrebbero essere MAI messe in discussione, soprattutto se possono migliorare la qualità della vita di alcune persone.

Le persone autistiche con o senza “terapie” restano autistiche. Vero.

Talune persone autistiche senza “terapie”, però, non sarebbero nemmeno in grado di compiere le azioni più basilari, come chiedere un bicchiere di acqua o avere una corretta igiene personale.

Ora, visto che il DSM-5 ha accorpato tutto sotto il fantastico ombrello dello Spettro Autistico, sarebbe utile, prima di parlare di “terapie”, specificare a quale livello di autismo si sta facendo riferimento, perché ad un livello 1 potrebbe bastare la psicoterapia, mentre ad un livello 3 serve ben altro e, ovviamente, questo altro deve essere Evidence Based.

Ripetete con me:
La comunicazione etica non deve essere abilista, ma nemmeno appiattire le difficoltà che molte persone autistiche e le loro famiglie affrontano ogni giorno.

Le “terapie” sono un DIRITTO conquistato con le battaglie dei genitori che ci hanno preceduti in questo percorso. Facendo passare il messaggio che non servono, rischiate di essere presi in parola dalle istituzioni che non aspettano altro che cambiare il poco per il niente e togliere anche le poche ore riconosciute.

Volete essere responsabili di un ulteriore peggioramento delle condizioni di vita di molte persone autistiche?

Qua si spacca il capello in due discutendo di “persone autistiche” o “persone con autismo” e poi si fanno scivoloni sulla vera sostanza delle cose.

Le parole sono importanti. Sia quando le dicono i genitori sia quando le dicono le persone autistiche.

E, tanto per farvi capire quanto io stessa tenga, ad un uso etico delle parole, “terapie” può andare bene in maniera colloquiale o in ambito medico.
Se state facendo informazione, invece, dovreste sapere che le persone artistiche fanno percorsi per l’acquisizione di abilità: le terapie curano, la riabilitazione fa ritrovare abilità perse, mentre per talune persone autistiche alcune abilità non sono comparse e, in casi estremi, mai compariranno. Si potrebbe parlare, quindi, di “abilitazione”.

Due anni fa mi confrontai con un illustre self-advocate in merito alla questione delle “terapie” e ne nacque la suddetta riflessione… Ah, i bei tempi andati del mattone e del cemento per costruire un ponte che si sgretola sempre di più davanti alle differenze di trattamento riservato a seconda di chi parla: il neurotipico viene subito messo alla gogna, mentre all’autistico si perdona tutto e fioccano like e condivisioni.

Questo è abilismo della peggior specie. O si tratta, invece, di discriminazione e opportunismo?

Ariel a scuola mentre comunica con alcune compagne. Ha appreso la CAA durante le “terapie”
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Avere la 104 non è un insulto

Leggo un post in cui si commenta un fatto di cronaca.

Come sempre ci sono commenti a favore dello scrittore, altri contro.

Poi l’ultimo, triste, bieco commento: “Chi ha fatto il post ha la 104 sicuramente”, con un ovvio riferimento ad una supposta disabilità intellettiva.

Questo di usare la 104 come se fosse un insulto sta, ahimè, diventando una brutta moda tra i poveri di spirito.

Vado a sbirciare chi è questo ennesimo fenomeno dell’etica sociale: immagine del profilo mentre brandisce una racchetta da tennis, studia (o ha studiato) scienze motorie e ama molto i selfie.

Caro il mio tennista, avere la 104 non è un insulto.

Il vero insulto sei tu che in tutto il tuo splendore e sagacia non sai fare altro che usare uno strumento a tutela dei disabili come una pietra.

E sì che sei pure “studiato”. All’Università non ti hanno insegnato che disabili non solo si nasce, ma anche si diventa e che il karma è una brutta bestia?

Ti auguro lunga vita senza bisogno di quella legge che ora tanto discrimini, ma stai tranquillo: se mai tu o i tuoi parenti ne avrete bisogno, noi vi accoglieremo a braccia aperte nel nostro gruppo di famiglie in difficoltà, perché, avremo mille deficit fisici o intellettivi, ma sicuramente noi non siamo disabili emotivi come te.

Immagine dal web
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Metafora

La vita è come un dolce fritto: a volte nasci ciambella, a volta nasci buco.

Ciò che conta, sempre e comunque, sono la temperatura dell’olio e l’equa distribuzione dello zucchero.

Il resto è solo lievitazione.

P.S.:  Ariel ed io abbiamo fatto le ciambelle per far lavorare le manine disprassiche della  Princess. Credo che a forza di lavoretti tra un po’ mi denuncerà per sfruttamento minorile.

Ciambelle fatte insieme ad Ariel
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L’albero di Natale

Imperfetto.

Pieno di “buchi”.

Addobbato da Ariel con le sue manine disprassiche.

È l’albero dei bambini: tutti i decori sono stati fatti dalla Princess e dai suoi cuginetti.

Ed è quello che più ci somiglia: poca forma, tanta sostanza e mille luci accese a scacciare l’ombra degli ultimi mesi.

Buon Natale a tutti, amici cari 💙💙

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Un posto migliore

Girano su loro stesse ridendo, incuranti degli sguardi degli amici. Gli adolescenti ridono per poco, piangono per niente.

Uno di loro le osserva e commenta con un lapidario: “La finite di fare le maledette autistiche?”

Un quarto ragazzino inghiotte un bolo di rabbia e dolore.

“Mamma, perché devono sempre offendere gli autistici?”

“Non offendono gli autistici, ma loro stessi usando le parole come pietre.
Poche parole nascono sporche, maledette. Di solito sono neutre, il loro compito è identificare, non giudicare. Sono le intenzioni delle persone a renderle offensive. Essere autistici non è un’infamia, è solo un modo di essere. La vergogna è usare una parola per offendere.”

“Come quando mi hanno detto che sono uno stupido gay?”

“Esatto.”

“E cretino?”

“Pure. Una volta c’era una malattia che si chiamava cretinismo: le persone che ne erano affette avevano una grave disabilità intellettiva. Una diagnosi medica è diventata un insulto a causa di persone prive di rispetto.”

“I miei amici dicono anche “ritardato” o “mongoloide.”

“La sindrome di Down anni fa era chiamata anche “mongolismo” per la forma degli occhi delle persone con tale condizione. Purtroppo molte malattie o condizioni che presentano o possono presentare disabilità cognitiva vengono usate per offendere.”

“Come quando Paolo mi ha detto che sono un malato mentale?”

“Già…”

“E quando ha detto che l’autismo è come il Covid?”

“No, sono due cose diverse. In questo secondo caso non c’è volontà di ferire, ma solo una profonda ignoranza.”

“E noi cosa possiamo fare contro l’ignoranza?”

“Parlare, raccontare, costruire… Le persone hanno paura di ciò che non conoscono o capiscono. La conoscenza genera gentilezza.”

“E quando mi offendono?”

“La legge 104 non tutela la disabilità di un cuore privo di sentimenti, di empatia o di educazione, ma tu puoi sempre scegliere come comportarti: puoi guardarli dritti negli occhi e poi andartene senza mai voltarti indietro, lasciandoli affogare nella loro crudele  ignoranza, oppure guardarli negli occhi e cercare un confronto costruttivo, ma devi essere consapevole che potresti ricevere ulteriori offese. Però…”

“Però?”

“Però se anche uno solo di loro comprenderà quello che stai dicendo, avrai reso il mondo un posto migliore.”

Ovviamente Paolo è un nome di fantasia, il dialogo, invece, è reale.

E tu cosa vuoi fare? Vuoi girare le spalle a chi è in difficoltà o vuoi rendere il mondo un posto migliore?

Foto di pexels
Ariel · Senza categoria

Little liar

Ariel esce dalla Fondazione con la faccia del gatto che ha trovato la gabbia del canarino aperta.

Le chiedo se è stata brava e mi risponde: “SCì!” rafforzando il concetto con un vigoroso cenno affermativo della testa.

La relazione di fine seduta, invece, racconta tutt’altra storia.

Una volta salite in macchina, la rimbrotto: “Vergognosa! Sei una bugiardona!”

Faccia da offesa, non mi guarda in faccia per tutto il tragitto e alla domanda: “Sei stata brava?”, ora risponde solo con un silenzio colmo di sdegno.

Poi, però, mi guarda con questi occhioni e penso che può raccontarmi tutte le bugie che vuole: solo lei, però, perché, tra le mille cose che non sopporto del genere umano, la capacità di mentire è sicuramente nella top 5.

Comunque, com’è quella storia che gli autistici non dicono bugie?

Mi sa che dobbiamo rivedere alcuni luoghi comuni.

Amo gli occhioni della Princess