La mamma "autistica"

Anche la roccia

Anche la roccia si spacca.

Essendo fatta di tutt’altra materia era, pertanto, scritto che prima o poi avrei ceduto pure io.

Fatto sta che martedì mi sono svegliata con metà viso che non sentivo più mio.

Diagnosi: paralisi di Bell.

Non controllo l’occhio sinistro e la bocca va dove vuole, anche se fortunatamente mi dicono che parlo bene. Fortunatamente, perché, essendo logorroica, sarebbe stato drammatico non poter ammorbare più i miei contatti con quei timidi vocali da 10-15 minuti che amo inviare.

La cosa più fastidiosa è bere con la cannuccia. Magari in pubblico. Magari un cappuccino al bancone del bar.

Ora il mio sorriso è un ghigno… Sembro Joker, ma senza trucco, perché in questo frangente guardarmi allo specchio è più difficile che mai.

Un’amica mi ha ironicamente detto (per fortuna quando il gioco si fa duro, gli amici iniziano a sdrammatizzare!): “E tu non sorridere!”
Effettivamente non è un momento che brilli per positività (eccezion fatta per il Covid che ha già ripreso a rompere i cojoni): ci vuole molto determinazione per cercare qualcosa per cui sorridere, ma io ho deciso di farlo ugualmente.
Per Davide e Ariel, per la mia famiglia, per le mie amiche: per non spaventare e soprattutto per non farmi compatire.

Sorrido e ringrazio.
Perché poteva essere qualcosa di peggio.
Perché ho persone che mi vogliono bene.
Perché possono ancora mandare tanti vocali.
Perché qualcuno mi ha mandato la borraccia con la cannuccia più fescion del mondo e che mi sono divertita a personalizzare.

Quindi faccio un brindisi alla vita e come al solito… Andrà tutto bene un cazzo!

La mamma "autistica"

Krapfen e bruschetta

Confesso di essere vagamente nervosa e ansiosa, una specie di krapfen farcito male, insomma.

Quando sono in questo stato d’animo divento iperattiva. Più del solito, intendo: un uragano che in casa sposta tutto e spazza via qualunque cosa, peggio di quelli che hanno imperversato nei giorni scorsi.

Fatto sta che poco fa la Princess Non Più Cicciottini (i chili persi da lei sono stati prontamente raccolti dalla sottoscritta, ché come diceva la mia nonna Nene: “Sprecare cibo è peccato mortale!”), mi ha portato il suo flacone di CBD con tanto di cucchiaino.

Adesso devo solo capire se lo vuole prendere lei o se è un invito per me, un diplomatico tentativo di farmi capire che mi devo dare una calmata.

Per ora l’ho somministrato a lei, ma non è detto che prima o poi non mi faccia tentare da un percorso degustazione con filo di olio di CBD su pane di Altamura: una bruschetta fuori dagli schemi, come i membri di questa piccola famiglia scombinata, dove ognuno si prende cura degli altri. Una specie di krapfen farcito di amore, insomma.

(Immagine di un bombolone farcito che mi mangerei volentieri come dessert e che, invece, sognerò tutta la notte. Maledetta dieta! Riconfermo ciò che ho sempre sostenuto: sono i sensi di colpa che fanno ingrassare, non la Nutella.
Ma questa è un’altra storia!)
– Fotografia tratta dal web –
La famiglia "autistica"

Un po’ di amore nell’occhio

“Mamma, come riesci a essere così calma con tutte le cose che stai facendo tra Ariel che sclera, casa, scuola e università?”
“Ti sembro calma?”
“Sì.”

Inghiotto il bolo di ansia.
Sorrido.

“Si chiama masking, amore mio.”
“E cos’è?”
“Hai presente le maschere veneziane?”
“Quelle di porcellana tutte truccate?”
“Sì, quelle. Ecco. Immagina di averne una sul viso tutto l’anno, anche quando non è Carnevale, e di fare vedere agli altri solo quello che vogliono vedere.”
“Ma è faticoso…”
“Faticosissimo, ma se mi abbracci la stanchezza se ne va.”

Mi stringe forte, ormai è alto quasi quanto me, il mio ragazzo lungo e secco.
Una lacrima si ferma all’angolo dell’occhio destro.

“Piangi, mamma?”
“No, tesoro, non sto piangendo: mi è andato un po’ di amore nell’occhio.”

La mamma "autistica"

Un miracolo, per favore!

Sono sola. 

Ne ho approfittato per sbrigare un paio di commissioni e schiarire pensieri neri che non hanno alcuna intenzione di migrare nel vespero (cit e semicit, non me ne voglia Carducci).

Stravolta e avendo bisogno di un booster di caffeina, mi sono infilata nel bar terrazzato con consumazione maggiorata di 0,50 centesimi ché quei dieci passi in più dal banco valgono quanto un metrocubo di metano. Pagamento cash alla consegna, sia mai che scappi con il bottino: un cappuccino 2 euro 30 centesimi, servizio incluso, rene asportato.

Sto per tirare un chitemmuort d’antologia quando in radiodiffusione parte la Santa Messa.

Incredula, penso sia uno scherzo dalla Orson Wells. Invece no: è proprio la Messa in diretta dal Santuario di Chinesoio, prova ne è il coro stonato dei fedeli. No, non del Professore, ma lo prendo come un segno del destino e capisco che per superare gli ultimi esami devo sfoderare l’artiglieria pesante e mi accodo: “…che ho molto peccato in pensieri, opere ed omissioni…”

Ops, ho omesso un capitolo del libro di Marini…

Funzioni esecutive impallate, capacità attentiva defunta.

Devo tornare sul compito: “… E supplico la beata sempre vergine Maria, gli angeli, i santi e voi, fratelli e sorelle, di farmi superare decentemente gli esami e i laboratori. Amen.”

Un miracolo, ecco quello che mi serve: un miracolo.

Guardo l’orologio e mi faccio due conti: se mi sbrigo riesco ad essere a casa in tempo per la Messa in diretta da Lourdes.

Immagine di una penitente priva di memoria e con funzioni esecutive impallate
Il mondo intorno a noi

Papaveri rossi e bianchi

Dovrei studiare e invece eccomi qua a ribadire l’ovvio: non è vero che il motto “che se ne parli bene o che se ne parli male, l’importante è che se ne parli” è sempre valido. Soprattutto se si tratta di disabilità. Soprattutto se ci si nasconde dietro alla buona fede per rifiutarsi di aprire un confronto costruttivo, perché “io lo faccio a fin di bene!”

Uno degli slogan di cui tutti si riempiono la bocca è “niente su di noi senza di noi”, ma, appena una persona con disabilità o un suo familiare dissente, viene zittita.

Mi ero ripromessa di non tornare più sulla spinosa questione dei calzini spaiati: ognuno faccia ciò che crede, però con la cognizione che non è così che si aumenta la consapevolezza sulla diversità e che una narrazione etica non può prescindere dall’autodeterminazione delle persone coinvolte. Se le persone con disabilità e le loro famiglie non si riconoscono in questa giornata, la loro volontà va rispettata.

In questi anni intere classi hanno indossato i calzini spaiati credendo di essere inclusivi e poi:

  1. Il compagno è stato fatto trasferire, perché non riusciva a gestire le crisi etero-aggressive;
  2. La compagna non è stata invitata alla festa di compleanno, perché “dovrebbe essere rinchiusa in manicomio” (citazione letterale);
  3. La famiglia è socialmente isolata, poiché non può partecipare alle diverse iniziative. A volte è impossibile anche mangiare una pizza al ristorante, poiché il bambino non ha sufficienti tempi di attesa o perché l’ambiente è troppo rumoroso;
  4. Il compagno con la mamma distratta è andato a scuola con i calzini uguali e non è stato inserito nella fotografia di gruppo, perché era troppo intonato nella giornata della diversità.

Lo confesso: a me non piace che Ariel venga paragonata ad un calzino spaiato, perché lei di spaiato non ha assolutamente nulla e francamente dopo tutti questi anni sono convinta che è finito il momento di parlare di inclusione ed è arrivato il momento di FARE inclusione.

Scopro, invece, che le maggiori barriere le costruisce chi dovrebbe essere un facilitatore.

In poche parole: mettetevi pure i calzini spaiati oggi, ma solo se domani invitate il “calzino” alla festa di compleanno, altrimenti lasciate perdere ché non abbiamo bisogno di sentirci ulteriormente discriminati e soli.

E pensare che la diversità in natura è la cosa più normale del mondo e i papaveri rossi non fanno la giornata dedicata ai papaveri bianchi: coesistono. Semplicemente.

Photo by Pixabay on Pexels.com
Ariel

La luna piena

L’autistica mannara ulula alla luna piena e ronfa nascosta dai cuscini quando il sole è ancora alto.

Lentamente si alza e, con umore variabile come la mattina di novembre che l’avvolge, si trascina a piedi nudi sul divano, dove si adagia, novella Paolina, tutta burro e brufoletti. Accende la televisione e inizia la lenta vestizione che la porterà, una volta pronta, a godere voracemente di quei tre pezzi di merenda che Antonietta voleva elargire al posto del pane.

La Mater Incoronata, chiedendosi il senso del Santo Patrono nello stato laico, e facendo l’appello di tutti gli altri Santi del calendario per il giorno di scuola mancato, la porta a prendere scarpe sbriluccicose dalla pianta larga, perché la Principess Mannara ha il piede leggiadro di Genoveffa, ché la scarpina di vetro lei non se la può permettere.

Dopo un lauto pasto a base si pepite fritte presso la M gialla, è stata portata nella Casa del Vizio, ove coccole, Coca Cola e würstel non mancano mai.

Stravaccata sul divano, guardando sul tablet il ratto preferito, con dito affusolato ordina e dispone, finché alle materne raccomandazioni

“Sii ubbidiente con la nonna”,

sfodera un sorriso sghembo e ferino e risponde agitando a destra e a sinistra l’indice:

ℕ𝕆𝕆𝕆𝕆!

Negli occhi il pensiero:

“Io sono la Princess, la Svevia è lontana e dalla Nonna regno sovrana.
Tu, Mater Incoronata, va’ pure a studiare, io qui faccio ciò che mi pare.
E stasera non sperare nella fortuna, tanto sai che ululerò di nuovo alla luna!”

Ariel

A.A.A. OFFRESI

Sono soddisfatta.

Anzi, di più: tra i banchi dell’Università mi sento a casa, la secchiona che è in me gongola di soddisfazione tra slide e manuali, appunti, penne ed evidenziatori.

La sera, però, torno a casa stanca e molto spesso non mi preparo nemmeno da mangiare, tanto Davide e Ariel cenano dai miei.

Così preferisco passare un po’ di tempo  con loro, farmi raccontare la giornata da Davide, raccontare loro la mia, leggere un  libro ad Ariel.

Poi, quando finalmente si addormentano, carico una lavatrice, rassetto la cucina e, se serve, carico la lavastoviglie.

Ieri sera ero troppo stanca, ho avuto una settimana pesante, ho rinviato il tutto a stamattina. E… Sorpresa!

Ho trovato questo messaggio scritto dalla manina disprassica della Princess:

“Mamma ho scaricato e caricato la lavastoviglie”

Mi sono commossa.

Non perché ha scritto il messaggio, ovviamente sotto dettatura, ma perché la mia ragazza sta crescendo e, seppur lentamente, impara piccole autonomie  che sul lungo termine avranno risvolti estremamente positivi: è molto importante che lei continui ad esercitarsi nella scrittura, ma è altrettanto e, forse anche di più, essenziale che acquisisca competenze che le consentano di non dipendere completamente da altri e che le diano la possibilità di sentirsi gratificata. Ariel è in primis una ragazzina di 11 anni  e come tutti noi ha bisogno di  avere un buon livello di autoefficacia per poter raggiungere altri traguardi che la portino sempre più lontano da me, per quanto le sarà possibile.

La cosa più naturale del mondo è guardare le spalle di un figlio che va avanti nella vita e quindi sto già preparando l’inserzione per quando compirà 18 anni:

“A.A.A. offresi servizio di carico e scarico della lavastoviglie con inclusa preparazione di caffè Nespresso e pop corn in microonde svolto da ragazza autistica. Si garantiscono, precisione, puntualità e poche chiacchiere. Chiamare ore pasti per definire compenso e orario. Se dovesse chiedere della Coca-Cola come acconto sul pagamento, fingetevi morti.”

Ariel · La mamma "autistica"

L’errore

Questa volta ho sbagliato. Alla grande.
Ho messo la diagnosi prima della persona.
Ho messo la condizione di Ariel davanti ad Ariel.
Ho pensato che a ricreazione non uscisse volentieri in giardino per un fisiologico calo dell’iperattività.
Ho interpretato letteralmente quella striscia per immagini come un “voglio andare a scuola”.
Invece lei mi stava dicendo altro.
L’ho capito solo quando l’ho vista sfogliare l’album che le hanno regalato i suoi ex compagni di classe, quelli con cui ha viaggiato per 8 anni.
Non vuole andare a scuola, vuole stare con i suoi amici.
Non vuole uscire a ricreazione, perché i suoi amici non ci sono più e, nonostante il grande lavoro di inclusione fatto da maestre e nuovi compagni, non ha ancora trovato una sua dimensione in classe.
Avrei voluto scattare una fotografia dello sguardo malinconico della Princess da mostrare alla professionista che dice che le persone autistiche non hanno empatia, che in noi non trovano consolazione nei momenti di tristezza, perché per loro una persona vale l’altra.
Invece non l’ho fatto, perché ho già sbagliato troppo.
Così mi sono seduta a terra con lei e abbiamo guardato l’album insieme; poi l’ho abbracciata e le ho chiesto scusa per non avere capito e per aver dimenticato di essere sua madre, di averla guardata con gli stessi occhi di quelle persone che studiando troppo perdono di vista l’essenziale, la dimensione umana delle persone. Lei mi ha abbracciata a sua volta e mi ha dato un bacio umidiccio, mentre il mio cuore sprofondava giù, giù, giù.

*****
P. S.: la professionista a cui mi riferisco non ha in carico Ariel, ma sono venuta a contatto con lei per motivi diversi.

Ariel

Quiz del giorno

La Princess vuole qualcosa da sgranocchiare e mi guarda con la faccia da “Ambrogia, ho voglia di qualcosa di buono!”

Apre il frigorifero, lo richiude. Apre l’antina della credenza, ci si dondola sopra un po’ con il suo gentil peso e la richiude.

Mi guarda e cerca di verbalizzare qualcosa, ma non riesce.

Prende il quaderno e cerca una cartina, non la trova, mette via il quaderno.
Le do carta e penna affinché scriva ciò che vuole, ma, nonostante, i suoi sforzi non trova la parola che le serve.

Alla fine disegna. Disegna! Lei odia disegnare o colorare: la disprassia rende i suoi gesti poco accurati e Princess Perfection non può accettare disegni imprecisi.

Fatto sta che disegna questo.

Secondo voi cos’è?

Intenzionalità comunicativa e strategia comunicativa al top, ma dobbiamo riprendere la scrittura di alcuni vocaboli che consideravo come consolidati e soprattutto la logopedia: con Ariel nulla è mai definitivamente acquisito.

Questo è Pictionary spinto e il primo che indovina vince un bacetto umidiccio di Princess Ariel.