Il mondo intorno a noi · La mamma "autistica"

Ognuno parli per sé

(Sarò lunga e incazzosa)

Quando ero incinta di Ariel e fino al momento della sua diagnosi, sognavo per lei una vita fatta di prime volte tipiche. Quasi nessuna di esse si è realizzata. In compenso ho una vita al cardiopalma con una ragazzina dal comportamento mutevole come il vento.

In questi giorni ho vissuto l’ennesima non-prima volta: l’acquisto del suo primo top intimo. L’ho fatto da sola: ho cercato i tessuti più morbidi e ho tolto tutte le etichette, ma è solo l’ultima cosa fatta per la Princess di una lunga lista di cui a lei non importa nulla.

Mi è nuovamente mancata quella complicità madre-figlia che tanto sognavo anni fa.

Lei cresce, il suo corpo cambia forme, ma agli occhi del mondo sembra sempre una bambina, invece di una ragazzina di 11 anni.

E io soffro.

Soffro per lei, perché io so quanto vale, quanto è intelligente e affettuosa e mi dispiace che questa conoscenza stia diventando sempre più ristretta alla cerchia famigliare.

Me lo avevano detto: non resterà piccola per sempre e le persone cambieranno atteggiamento nei suoi confronti, farà meno tenerezza e i compagni di scuola si allontaneranno naturalmente.

Così si passa ai due poli di chi la tratta come se fosse ancora una bambina piccola e di chi la guarda con paura quando fa una stereotipia improvvisa, perché ormai il suo comportamento si discosta troppo dal suo fisico da pre-adolescente.

Avere la consapevolezza che la vita di mia figlia disabile è degna di essere vissuta tanto quanto quella di mio figlio, aiutarla a raggiungere la maggior autonomia possibile e ad essere la miglior se stessa possibile, gioire per i suoi traguardi raggiunti, è cosa ben diversa dal ritenermi fortunata perché ci saranno molte altre prime volte “atipiche” che, visti i precedenti di difficile gestione, mi instillano più ansia pulsante che gioiosa aspettativa.

Oggi, con il 2 aprile alle porte, mi sento egoisticamente portata a dire che, sì!, sono fortunata visto che ho due figli che, nonostante la mia imperfezione e i miei errori, mi amano moltissimo, ma sono incazzata da morire perché Ariel non potrà mai fare le cose più naturali del mondo quali studiare una poesia a memoria, dare il primo bacio, soffrire per il primo amore, fare l’amore, prendere un caffè con le amiche, cercare lavoro, lasciare il nido famigliare, provare un abito da sposa anche solo per curiosità, avere figli da aspettare alzata e poi nipoti da viziare…

Alle persone che vorrebbero tappare la bocca ai genitori degli autistici gravi (e intenzionalmente dico “gravi”, così anche i non addetti ai lavori mi capiscono, ché le parole sono importanti, ma far comprendere le cose lo è di più) e che vorrebbero essere i tutor delle nostre meravigliose creature, ricordo che affidare un figlio a qualcuno è il massimo atto di fiducia che un genitore possa fare.

La fiducia va conquistata giorno dopo giorno, dimostrando preparazione, rispetto, equilibrio, attitudine, affetto, cura per le necessità di quel figlio.

Prima di dire: “Affidaci tuo figlio: noi sappiamo cosa fare con lui, perché siamo autistici come lui!”, dovete guadagnarvi la nostra fiducia.

E cercando di zittirci dimostrate di non essere inclusivi con chi è diverso da voi: la diversità è multidimensionale e multidirezionale e visto che la neurodiversità è data dal funzionamento neurobiologico di tutti noi, anche noi genitori meritiamo lo stesso rispetto che pretendete da noi. Anche io, donna, di mezza età, eterosessuale, neurotipica e quindi priva di un cavolo di giornata dell’orgoglio da celebrare, ho il diritto e il dovere di parlare a nome della figlia, perché io vivo con lei fin dal suo primo respiro e vivrò con lei fino al mio ultimo respiro, amandola un giorno dietro l’altro con tutta me stessa, anche nei momenti più bui, suoi e miei.

E questo mi dà sicuramente lo stesso diritto di parlare di chi ha un funzionamento neurobiologico che potrebbe essere simile al suo, ma al quale manca tutta la parte esperienziale condivisa in questi 3952 giorni di vita e amore con lei.

Io non starò mai zitta, non vi lascerò mai la parola se vorrete essere un passo davanti a me, perché lo sareste anche davanti ad Ariel e lei ha gli stessi vostri diritti a essere rappresentata. Dalla mia voce, non solo dalle vostre. Voi parlate per voi, io parlo per lei, ognuno parli per sé e del proprio vissuto senza estenderlo a tutti e, forse, lavorando insieme riusciremo a costruire un futuro migliore. Forse.

Bon.

Adesso vado a cercare di convincere la Princess a indossare un top intimo che ha già cercato di usare a mo’ di perizoma…

Inizio a sperare che abbia preso da me e che il reggiseno le serva solo come fionda per tirare le arance al Carnevale di Ivrea.

Buon weekend a tutti, attivisti e non, e che il 2 aprile passi senza ulteriori vittime visto che il buon senso è già stato sterminato da sterili polemiche da social.

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