Ariel · La famiglia "autistica"

Con le mutande in testa

Quarant’anni fa la nonna Nene andò nei campi portando con sè le due nipoti, ma non altrettanti cappellini. Donna di pochi mezzi economici, ma di grande inventiva, era figlia di mezzadri, cresciuta in campagna e mandata a servizio a 12 anni. La vita le aveva insegnato a fare molto con poco e sapeva sfruttando al meglio il proprio pensiero divergente*: risolse il problema utilizzando un paio di mutande come copricapo. Ero la  maggiore e, per la legge non scritta che i primogeniti devono essere sempre più responsabili e cedere alle richieste dei minori, mia sorella “vinse” il cappello con il frontino; a me toccarono le mutande a fiorellini, portate di riserva sul principio che “pan e gaban stan ben dut el an”**. A quei tempi avevo i codini ciccioni alla Candy Candy e per rendere la cosa più trendy (mia nonna avrebbe detto “figa”, perché era sempre al passo con i tempi), li fece uscire dalle gambe degli slip. Mi stavano così bene che pure mia sorelle le avrebbe volute, ma ce n’era solo un paio. Dopo un mezzo parapiglia, le tenni io, per un’altra legge non scritta, ossia “un pôc al va ben, ma no masse!***  Sono la più grande e adesso basta, si fa come dico io! ” e, soprattutto, pedagogicamente parlando, la norma educativa degli Anni ’80 del: “finché non si cavano gli occhi, va ancora tutto bene”.

Vorrei avere 11 anni e andare di nuovo a raccogliere erba medica o sorgo con la nonna, stare all’aperto senza preoccuparmi del sole malato, della pioggia acida, dei pesticidi. Vorrei tornare ai bei tempi in cui mangiavo le more selvatiche direttamente dai rovi, senza preoccuparmi di lavarle, perché “chel ch’al passe all’ingrasse!”****

Le mutande in testa no, quelle non mi servono: figurativamente le indosso ancora, anche senza i codini, per ricordarmi di tenere la mente aperta, di mettere da parte il mio funzionamento e di cercare soluzioni alternative ai problemi che quotidianamente affronto con la Princess, perché ciò che per me è bianco, probabilmente per lei ha un colore diverso… E De Bono muto!*****

Come vedete, in questa immagine la Princess, degna erede della bisnonna, ha deciso di usare le mutande come cappellino e lasciare le parti basse ad arieggiare. Potere della genetica divergente!


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* Il pensiero divergente, teorizzato da Guilford nel 1967, è un particolare tipo di pensiero che coincide con la capacità di creare soluzioni originali ed  efficaci in relazione ad un determinato compito o problema, dando, ad esempio, nuova utilità ad un oggetto di uso comune
** friulano: pane e vestiario sono utili tutto l’anno
*** friulano: per un po’ va bene, ma non troppo a lungo
**** friulano: quel che passa, ingrassa.
***** Edward de Bono nel suo “La tecnica dei sei cappelli per pensare” descrisse la sua teoria nella quale una persona, indossando sei cappelli immaginari di colori diversi, affronta un argomento da diversi approcci e prospettive, applicando anche il pensiero laterale.