“Io tremavo.”
“Lo so”, è stata la mia risposta.
Tutti noi genitori di bambini non perfettamente allineati allo standard imposto dalla società, prima o poi abbiamo tremato. Di rabbia, di dolore, di paura.
Quando tremiamo di paura o di dolore, ciò che ci affligge è il presente o il futuro dei nostri ragazzi.
Quando tremiamo di rabbia, invece, è spesso colpa di persone che, non solo non riescono a capire la fatica che quotidianamente affrontiamo, ma, ancora peggio, non rispettano i nostri figli.
Ariel è stata discriminata solo alcune volte dai bambini, molto spesso dagli adulti.
“Ha la voce come un pappagallo.”
“Quando si hanno figli così si dovrebbe stare a casa: non si possono rovinare le feste agli altri!”
“La bambina deve stare seduta! … Ah, è autistica?… Bene si accomodi al posto riservato agli handicappati!”
“La bambina deve stare zitta! … Ah!… Autistica? Mi dispiace ma la cripta non è un posto adatto a lei! Disturba la Messa! Vi prego di uscire.”
A parte che non mi pare che Gesù avesse detto “Lasciate che i bambini vengano a me… purchè facciano silenzio”, io lo confesso: in queste situazioni tremo. Tremo come una foglia. Sento la rabbia che parte dalla pancia e rapidamente dilaga in ogni cellula del mio corpo.
Mi presento: Ciao, sono Katjuscia e sono una mamma che trema spesso. In questo momento mi sto rivolgendo per la prima volta in maniera esplicita e senza filtri a tutti gli adulti che non tremano mai.
Mi rivolgo a tutti coloro che hanno figli e nipoti sani, neurotipici, senza sindromi, con tutti gli arti al loro posto e che sono in grado di parlare, saltare, correre, comunicare con il mondo. Mi rivolgo a coloro che non si preoccupano ogni minuto della loro vita per le loro creature.
Fermo restando che le parole sono solo etichette senza alcun valore, c’è una notevole differenza tra chiamare qualcuno “handicappato” e “disabile”. È vero, in sostanza non cambia nulla: la persona resta diversa dagli altri.
Attenzione, diversa, non meno. Anzi spesso, è più: le persone “diverse” sviluppano alcuni tratti all’ennesima potenza per poter fronteggiare questo mondo ostile e quindi sono più sensibili, più istintive, possono avere un tatto o un udito più affinato, sviluppare meglio la memoria, avere braccia forti per spingere la carrozzina, imparare ad usare i piedi al posto delle mani.
Sicuramente le persone disabili sono messe continuamente alla prova e con esse i loro famigliari.
Ritenete davvero giusto caricare le nostre vite di ulteriore peso denigrando I nostri figli?
Ricordate: disabili non solo si nasce, anche si diventa.
Non fate diventare i vostri figli dei disabili, pardon, HANDICAPPATI emotivi: insegnate loro il rispetto del diverso e vedrete che stando con i nostri ragazzi diventeranno degli adulti eccezionali per i quali non vi dovrete davvero preoccupare. Uomini e Donne con le iniziali maiuscole.
Da dove vi viene tutta questa urgenza di sapere a priori in quale categoria dovete ficcare le persone? Non ne potete proprio fare a meno? Mmh… Non sarete mica anche voi un po’ austici?
Va bene, su, ripetiamo insieme: “Se proprio dobbiamo etichettare qualcuno, da ora in poi lo chiameremo DISABILE e non handicappato.”
Lo dice pure la Treccani…
Fermi… Adesso che ci penso… Anche disabile è brutto, è come dire che una persona non è abile, mentre noi sappiamo che loro sono davvero abili in molte cose.
Ok, allora adottiamo la proposta di Francesca: “persone con bisogni speciali”.
Mi permetto, però, di darvi un ultimo spunto di riflessione: e se li chiamassimo semplicemente per nome?