Scendo dal treno trascinando il trolley. Cerco mio padre venuto a prendermi alla stazione. Vedo, però, prima Ariel: si sta tappando le orecchie per il rumore. Poi abbassa le mani e si guarda in giro stranita. Mi avvicino piano e mi piego in avanti, finché i nostri occhi sono alla stessa altezza. Mi guarda per un paio di secondi, finalmente mi riconosce e inizia a tremarle il labbro inferiore. La prendo in braccio, mentre continua a tremare e le sussurro: “Mi sei mancata, la mamma è tornata. Ti voglio bene.”
Mi stringe ancora più forte e mi fa un enorme sorriso sdentato. La porto in braccio fino all’auto, mentre cerca di dire qualcosa. Non ci riesce, ma il suo sorriso e il suo cuoricino che batte vicino al mio valgono più di mille parole. Mi sta dicendo “Ti voglio bene, mamma. Mi sei mancata anche tu.”
Rivedo la mia Principessa dopo quattro giorni e oggi questo abbraccio è più prezioso che mai: 80 anni fa Ariel sarebbe stata parte del progetto di eutanasia dei bambini disabili.
80 anni fa Ariel sarebbe partita per un ospedale speciale e non sarebbe più tornata.
Buio il giorno in cui un professore si stufa di parlare della Shoah.
La Shoah riguarda tutti noi, non solo gli Ebrei. Tutti noi che abbiamo un figlio disabile, un amico omosessuale, un nonno comunista… Tutti noi che, mentre digitiamo un messaggio sullo smartphone, attraversiamo senza guardare e in un attimo ci potremmo risvegliare paralizzati su un treno diretto verso una camera a gas.