Ariel · Il mondo intorno a noi

La storia si lascia raccontare

La vacanza è andata bene, tutto bellissimo. Ariel è stata super collaborativa e ha pure decantato la Divina Commedia in versi.

La storia si lascia raccontare: contano solo i fatti e le prove documentali, poiché ognuno di noi può raccontare il proprio vissuto e non è detto che sia esattamente rispondente alla realtà, dando quindi un’immagine di sé e di chi ci è vicino non oggettiva, poiché filtrata dalle proprie emozioni.

La verità sulla vacanza è che ogni giorno è stato funestato da crisi di autolesionismo ed eteroaggressività. In vacanza come a casa, nulla è, ahimè, cambiato.

I sovraccarichi sensoriali si riproducono come Gremlins (ieri è bastato il canto delle cicale), nuove rigidità (adesso annusa pure l’acqua), mentre alcuni cartoni animati si trasformano in ossessioni da vedere e rivedere, finché fanno male, finché diventa tutto troppo doloroso.

Mi piacerebbe parlarvi dei grandi progressi di Ariel, delle cose buffe che dice, affermare che le sedute al centro non servono, che anzi la vogliono solo normalizzare. Vorrei davvero potervi dire che lei è stata scambiata per pigra e visionaria quando riferiva le sue crisi, anzi mi piacerebbe che ve lo raccontasse lei.

Invece io mi ritrovo a parlare di una condizione che non consente di passare 5 giorni sereni nemmeno in vacanza, nemmeno quando credo di aver pensato a tutto e poi mi accorgo che l’unica vera costante indipendente dalla mia volontà, ma fondamentale, è lo stato di salute psicofisico di della Princess. E su quello non posso nulla, se non cercare di prevenire, di alleviare, di consolare.

Questo è il tipo di funzionamento che non permette mai di abbassare la guardia, che insegna che le ore di sonno vanno sfruttate meglio possibile per avere sufficienti risorse per fronteggiare le lunghe giornate e le infinite nottate.
Il mio sogno di una casa perfetta è diventato un’utopia: i muri, tinteggiati lo scorso anno, pare che non vedano un imbianchino da decenni; la camera è stata sfondata durante le sue crisi, il giardino è incolto, perché o mi prendo cura di lui o mi prendo cura di lei.

Quello della Princess è un autismo fatto di botte in testa, di ginocchiate in faccia, di “capa a muro”, di meltdown pressoché quotidiani, di incapacità di comunicare i propri stati d’animo.

In questo momento la mia narrazione non è rassicurante, non illude sul futuro di Ariel, ma non vuole nemmeno negare che i ragazzi possono migliorare. Lungi da me voler togliere la speranza ad un genitore! Questa è Ariel, questa è la mia vita con lei.

Fortunatamente non per tutti è così gravosa. Capisco chi si vuole abbeverare alla fonte di chi infonde speranza in un futuro luminoso, probabilmente lo avrei fatto pure io al momento della sua diagnosi.

Quando vedo un genitore in difficoltà con la propria creatura, penso alla nostra fatica, di Ariel in primis, ma anche mia e di Davide, e spero sempre che a loro le cose vadano meglio, che ci sia un click che permetta loro di trovare la giusta chiave di sviluppo e crescita reciproci, perché una cosa è sacrosanta: con i nostri figli si impara e si cresce ogni giorno. Loro attivano costantemente il nostro pensiero divergente, costringendoci ad accantonare la nostra forma mentis per cercare di capire la loro, ci fanno spogliare del nostro funzionamento per entrare nel loro.

L’attuale condizione di Ariel, la fotografia di questi ultimi 10 mesi mi fa chiedere: dov’è la dignità di una vita in cui ci sono solo rarissimi sprazzi di serenità ai quali attingere per far fronte al resto della giornata? Perché lei non può essere serena? Non la sogno più madre di famiglia o giovane sposa all’altare, non sento più la sua voce gialla bucare il sonno, non ho più aspettative di una vita autonoma per lei. La serenità, però… Almeno quella, cazzo!

Amo Ariel, la amo da impazzire, non riesco ad immaginare la mia vita senza di lei, ma in questi anni mi ha lentamente divorata. Mi sento vecchia, sfinita, mi guardo allo specchio e non mi riconosco.

Intanto, siccome la storia si lascia raccontare, pubblico questa fotografia, così chi non ha voglia di leggere e si è fermato al primo paragrafo senza approfondire ulteriormente, può continuare ad immaginare che tutto stia andando bene. I video, quelli della realtà, non li pubblico: non è dignitoso per lei e non è piacevole a vedersi, soprattutto per chi non sa cosa sia una crisi autolesionistica. Perché li faccio? Perché è piena di ematomi e devo poter dimostrare che sono autoinflitti, poiché essere un genitore di una persona come Ariel significa dover pensare anche a questo: prevenire eventuali accuse di abusi, anche se il suo comportamento è ormai pervasivo e quindi sotto gli occhi di tutti.

Non lascio alcuna morale né suggerimento su ciò che voglio comunicare, ognuno tragga le proprie conclusioni per quella che è la propria esperienza con l’autismo. Io, intanto, continuo a guardare la verità in faccia e a cercare un modo per aiutare Ariel a stare bene. Del resto, ormai, poco mi importa.

Un’ultima cosa, però, la voglio dire a chi non conosce l’autismo. Ascoltate i video degli attivisti, leggete i loro libri e le loro pagine sui social, seguite le loro dirette e i loro webinar, ma ricordate: quella è solo una delle mille sfumature dello spettro autistico. Ci sono persone autistiche che non escono mai di casa, che non parlano, che non sanno comunicare e sono quelle di cui è meno divertente leggere o parlare.

Non dimenticatevi di loro, altrimenti arriveremo al paradosso del

“Non scrive, non parla, non fa i Tiktok. Sicura che sia autistica? Fammi vedere la sua diagnosi.”

Ariel · Il mondo intorno a noi

Oggi non è aria

Primo giorno dell’esame di maturità.

Molti studenti non lo affronteranno mai a causa di un processo di inclusione e formazione non adeguato alle loro caratteristiche personali.

Alcuni studenti lo svolgeranno con strumenti compensativi e misure dispensative, altri affiancati dall’insegnante di sostegno.

Per la maggior parte dei ragazzi, esso porterà al diploma e aprirà le porte al mondo del lavoro o all’Università; ad altri verrà concesso un attestato di credito formativo e da settembre il loro futuro sarà ancora più in certo.

Ariel difficilmente arriverà alla fine della Scuola Secondaria di Secondo Grado: troppe difficoltà personali le impediscono di progredire come potrebbe. Se non fosse ipersensoriale, se non fosse eccessivamente rigida, se non fosse incapace di chiedere aiuto, se sapesse parlare…

Se, se, se…

Di anno in anno, macché dico!, di settimana in settimana ritaro le mie aspettative sul suo futuro. Sì, aspettative, perché anche noi genitori di persone disabili abbiamo delle aspettative per loro e su di loro: non averle significherebbe non avere fiducia nelle loro capacità e ritenere la loro vita meno degna di altre.

E ogni volta che i nostri figli raggiungono un nuovo obiettivo, gioiamo ed esultiamo come se avessero vinto il Nobel per la Matematica, invece, magari, a 10 anni dicono solo “mamma” per la prima volta. Ma quel “mamma” ha richiesto più lavoro e studio e costanza di una laurea in astrofisica nucleare.

E ogni volta che i nostri figli fanno un passo indietro e perdono abilità o non le raggiungono, noi siamo comunque lì a fare il tifo, ché non si piange davanti a loro: noi sappiamo che non vanno sottovalutati, che comprendono e percepiscono molto di più di quanto la gente pensi.

Appena diagnosticata, leggendo Temple Grandin, Jim Sinclair, Donna Williams e attaccandomi con le unghie e con i denti alle diagnosi postume di taluni personaggi famosi, mi ero illusa che Ariel avrebbe recuperato il gap che la separava dai coetanei. Sì, ok, avrebbe avuto un funzionamento diverso, avrei imparato come relazionarmi a lei e le avrei fatto da cuscinetto sociale, ma avrebbe avuto una vita piena e autonoma.

Con gli anni, invece, ho capito che ogni persona autistica segue un proprio percorso di sviluppo e autonomia e che quello di Ariel era ben diverso da quello delle persone di cui avevo tanto letto.

Non mi sono arresa, anzi, ho intensificato i miei sforzi per cercare di capirla e di esserle di supporto, ho adeguato la mia vita alla sua.

A 2 anni la sognavo ingegnere, oggi sono consapevole che i suoi titoli di studio non hanno valore per la società, men che meno per lei. E quindi…

Chissenefrega se non farà mai l’esame di maturità, ciò che conta è che lei trovi un po’ di pace. Mi piacerebbe che finisse le scuole secondarie, questo sì, perché significherebbe aver creato un buon progetto di inclusione per lei dandole la possibilità di stare con i coetanei, ma adesso, ora, ho altre priorità.

In questo momento sogno per lei un’intera settimana di serenità, senza dolore, senza ansia, senza crisi, senza autolesionismo, senza solitudine.

Oggi, giorno 22 giugno dell’Anno Domini 2022, vorrei che non si facesse più male e che avesse la forza e la capacità di aiutarmi a capirla, sorridendo come solo lei sa fare, ridendo come non fa più da troppo tempo.

Non pubblico video o fotografie delle crisi autolesioniste di Ariel, perché la sua dignità va preservata, ma chiedo rispetto a gran voce per la Princess e per tutte le persone come lei, non minimizzando le loro difficoltà: se la diagnosi è di disturbo dello spettro autistico significa che è l’autismo la causa principale di disabilità, non le comorbidità. Altrimenti la diagnosi sarebbe di Disabilità Intellettiva con tratti autistici. E non parlatemi di ICF etc etc perché oggi non è aria: qui la società e le barriere non c’entrano nulla. Non è la società che le fa partire l’ipersensorialità in camera sua al buio mentre fa ciò desidera. Non ci sono barriere nella doccia, nessuno le impone di guardare il medesimo frame di cartone animato all’infinito. Grazie.