Ariel

Potenza di fuoco

Ricordate Conte e la sua “potenza di fuoco”?

Ecco, dopo due anni forse ho capito cosa intendeva.

Ariel sta entrando nella pubertà in punta di piedi (letteralmente), mani sfarfallanti e ripiena d’ansia mista a rabbia che la rende più pericolosa dei Campi Flegrei.

Ormoni grossi come angurie si stanno impossessando della Princess e, sommati al fisiologico cambiamento del suo corpo, portano con sé un nuovo, inaspettato, E NOR ME problema: l’enuresi diurna. Di notte tutto bene (lo dico sottovoce), ma di giorno… Ovviamente, prima di pensare alla carica ormonale e alla pubertà, abbiamo accertato ed escluso tutti i fattori di fisica quali infezioni, diabete, etc…

Fatto sta che lei fa pipì spesso e, visto che odia stare bagnata, cambia mutandine infinite volte al giorno.

Una volta finite le sue (vi giuro, ne ha più di quante ne abbia mai avute io in tutta la mia vita!), usa quelle del fratello, i costumi da bagno di entrambi, e, ultima spiaggia, le mie.

No, non le metterò il pannolino mutandina, non sognatevi nemmeno di scriverlo nei commenti!

Volendo vedere il bicchiere mezzo pieno, approfitto di questa situazione e le faccio indossare gli assorbenti (tanto, prima o poi li dovrà portare), acquisterò per lei anche le mutande mestruali e le insegnerò a gestire entrambi.

Nel frattempo lavatrice e asciugatrice fanno gli straordinari e finalmente arriviamo alla “potenza di fuoco” di cui sopra.

Ieri ho acceso il caminetto solo per asciugare ancora più biancheria intima.

Benvenuti in casa Zof, dove il caminetto acceso non crea atmosfera, asciuga mutande.

Mutande stese
La mamma "autistica"

Beata me…

“Beata te che hai i permessi 104.”

Non potevo credere alle mie orecchie quando me lo dissero.

Beata me…

Beata me quando passo le notti in bianco tenendo la mano ad Ariel che piange o cerca di comunicare il suo disagio.

Beata me che ho l’automobile da tre anni e il contachilometri ne segna 95.000, la maggior parte dei quali fatti portando la Princess al centro riabilitativo.

Beata me, seduta sui divani rossi nella sala d’attesa, mentre aspetto che Ariel esca dalla riabilitazione.

Beata me che ho dovuto rinunciare ad un lavoro full time, perché incompatibile con le esigenze di accudimento di mia figlia.

Beata me che non posso mai vedere una partita di mio figlio, andare al ristorante o al cinema con la famiglia, perché sono situazioni che la agitano.

Beata me che mi rigiro nel letto, notte dopo notte a pensare a come organizzare il suo futuro quando non ci sarò più.

Beata me che non mi sono mai sentita chiamare “mamma” o dire “ti voglio bene” da lei.

Beata me che non vado alle recite della sua classe e che soffro rendendomi conto del divario tra lei ed i compagni che aumenta di giorno in giorno.

Beata me che ho mille poesie di Natale, Pasqua e per la Festa della Mamma, canti e sogni mai ascoltati.

Beata me che non la vedrò mai vestita da sposa o uscire in tailleur e tacchi per andare al lavoro e non avrò mai nipoti che mi diranno: “Nonna, tua figlia va sistemata, adesso sta veramente esagerando!”

Beata me che sono preoccupata per Davide che, come tutti i siblings, sta crescendo troppo in fretta, troppo maturo per la sua età.

Beata me che mi devo ritagliare un weekend all’anno con mio figlio per potermi dedicare a lui e ricordargli che lui vale tanto quanto lei, perché il dubbio è sempre lì strisciante e subdolo: a dieci anni è facile scambiare il grande numero di ore passate con la sorella per una preferenza.

Beata me che a 39 anni, dopo la diagnosi, una mattina mi svegliai con i capelli completamente grigi.

Beata me che mi chiudo in bagno e, muta, urlo allo specchio tutta la mia rabbia e il mio dolore.

Beata me per quei tre fottuti giorni al mese che non mi ripagheranno mai di ciò che ho perso.

Beata me per l’amore della mia famiglia, per lo sguardo intenso di Davide e quello sognante di Ariel, per il lavoro, per l’automobile quasi nuova nonostante i 95.000 chilometri, per la salute, per le notti in cui posso riposare con un cucciolo riccioluto rannicchiato sulla mia spalla, per le albe viste con Ariel alla fine delle nostre notti insonni e i tramonti sul mare, per il fuoco nel caminetto, per le vacanze in montagna, i giorni al mare e i week-end sola con Davide, per le castagne che scoppiettano sulla stufa e per il sugo dell’anguria che gocciola lungo il mento, per i sogni ad occhi aperti e quelli bellissimi tra le braccia di Morfeo, dove Ariel parla e mi racconta la sua giornata.

Beata me che ho ancora la forza di arrabbiarmi davanti alle ingiustizie e che a 44 anni non sono ancora così assennata da dirmi: “lascia perdere, non si può lottare contro i mulini a vento”.

Beata me perché Ariel ha una presa in carico, mentre c’è chi aspetta.

Beata me per la Vita, non per i  permessi 104.

Beata te che non li hai, ma che forse sei meno fortunata di me, nonostante tutto.

Immagine dal web