"L'amore non conosce barriere. Salta ostacoli, oltrepassa recinzioni, attraversa pareti per arrivare alla sua destinazione, pieno di speranza." – Maya Angelou
Ci sono momenti che non dimenticherai mai, fotogrammi che cambieranno la tua vita per sempre.
Uno dei momenti fondamentali della mia vita comprende un aereoplano.
Eravamo nel parcheggio de “La Nostra Famiglia”. La seduta di valutazione era appena terminata e la terapista ci accompagnò fuori.
La Princess aveva poco più di due anni e la tenevo in braccio. Lei si stringeva forte a me come un piccolo koala. Adoravo quando lo faceva così: sostituiva quel “mamma” che tanto desideravo e che non arrivava.
In quel momento passò un velivolo, la professionista lo indicò dicendo: “Ariel, guarda, un aereo!”
Niente. Non successe assolutamente niente. Non seguì il dito, non guardò in cielo, non guardò lei e nemmeno me. Rimase stretta al mio collo, la testolina sulla mia spalla e non fece niente.
Guardai il viso della dottoressa e quello che vidi non mi piacque.
Non osai chiedere nulla, lei disse solo: “Non c’è attenzione condivisa. “
“Ed è un male, vero?”
“È troppo presto per dirlo, ma adesso lo segno sulla cartella di valutazione affinché le colleghe che mi seguiranno nell’iter di valutazione controllino a loro volta.”
Da allora quando vedo un aereo in cielo non penso a vacanze, non mi chiedo dove stia andando o perché le persone a bordo siano su quell’aereo: io ricordo una donna con un dito puntato al cielo e il mio cuore che sprofonda nell’abisso.
Dopo quasi 8 anni e tanti progressi, anche se minori di quanto avevano predetto taluni, aspetto ancora di sentirmi chiamare “mamma” e un aereo in cielo mi riporta a quel giorno quando il sole era ancora alto e forte, gli alberi iniziavano a perdere le foglie e il mio cuore perse un battito.
La mia vita cambiò, le mie aspettative cambiarono, mia figlia no: lei è stata, è e sarà sempre e solo Ariel, coerente a se stessa, distributrice industriale di abbracci.
Mi mancano i suoi abbracci da koala, non riesco più a portarla come facevo quando aveva due anni, ma il “mamma” nascosto tra le sue braccia che mi stringono è sempre lì, più forte che mai.
Che gli altri non sappiano chi io sia veramente è tutto sommato comprensibile, ma io so chi sono veramente e cosa vogliono le persone da me?
Quali etichette e aspettative ci vengono appiccicate sul collo senza che ce ne accorgiamo?
Come madre di una bambina disabile ho capito che per soddisfare le esigenze di tutti coloro con cui interagisco dovrei avere più sfaccettature di un dodecaedro, ma io sono una, complessa, destrutturata, ma una.
COME MI VORREBBERO
1) LE ISTITUZIONI: dovrei stare zitta ed essere accondiscendente, grata per ogni supporto che viene generosamente concesso ad Ariel & Co. dall’alto della loro magnificente generosità;
2) LE PERSONE CHE NON MI CONOSCONO: dovrei indossare il mantello da supereroe ogni volta che esco di casa. Vorrebbero una guerriera immortale che, armata di spada, difende i diritti della progenie e che a volte mostra la propria fragilità, ma solo finché non diventa “l’ennesimo post lagnoso sulla figlia handicappata” (citazione liberamente tratta da “Anche i muri hanno le orecchie e gli stronzi si riproducono come i gremlins a mezzanotte” Ed. Mavaffanculova). Il mio soprannome è WonderHandyCurlyCurvyMum; dovrei salutare con “Buongiornissimo, cafféééé?”;
3) ALCUNI (pronome indefinito, dal senso incompiuto e dalla visione definitiva): mi vorrebbero resiliente, proattiva, informata, indipendente, terapista di mia figlia, pronta ad intervenire nelle emergenze e ad accudire costantemente la mia pargoletta di 32 kg.
4) L’AZIENDA PER CUI LAVORO: n.p., ma ho il vago sentore che il lungo silenzio sia foriero di tempesta in arrivo. Io mi tengo attaccata al pennone dell’albero maestro, ma mi sa che finisco ammutinata;
5) MIO MARITO: mi vorrebbe più rilassata e meno stressaminchia (citazione da tratta da “Coniugi fantastici e dove seppellirli);
6) I MIEI FIGLI: vogliono solo la loro mamma;
7) BALOO: un dispenser di snacky snacky e coccole;
8) LA FAMIGLIA D’ORIGINE: mi vorrebbe più serena e il lungo occhio del parentado di primo grado osserva con circospezione ogni mio movimento ed espressione per capire cosa penso: ho il vago sospetto che abbiano visto troppe puntante di “LIE TO ME”;
9) GLI AMICI: non si aspettano più niente, sono rassegnati ad avere a che fare con la Primula Rossa della disabilità e vorrebbero che tornassi a scrivere di bicchieri mezzi pieni.
COME MI VORREI:
1) pronta ad urlare a gran voce per i diritti di mia figlia: megafono alla mano e occhiali da intellettuale vorrei gridare il mio dissenso per il poco che viene offerto ai nostri ragazzi;
2) vorrei essere una guerriera immortale che, armata di spada, difende i diritti della progenie, che a volte mostra la propria fragilità con il nome di battaglia WonderHandyCurlySlimMum e, sorridente, con i capelli alla Julie Andrews solfeggio “Buongiorno miei cari”;
3) resiliente, proattiva, informata, indipendente, terapista di mia figlia, pronta ad intervenire nelle emergenze e ad accudire costantemente la mia pargoletta di 32 kg;
4) lavoratrice full time;
5) più rilassata e meno stressaminchia;
6) degna di essere la madre dei miei figli;
7) determinata a fargli mangiare le sue crocchette e a non farlo salire sul letto;
8) più serena e meno psicanalizzata;
9) più presente e meno fuggitiva, pronta a scrivere di bicchieri mezzi pieni.
COME SONO:
1) grata per ogni supporto che viene generosamente concesso, ma incazzata per tutto quello che manca;
2) una donna mortale che, armata di tastiera, parla per conto della figliolanza e che troppo spesso mostra la propria fragilità: il mio nome di battaglia è The Princess and the Autism, perché prima c’è Ariel e poi l’autismo. Il mio saluto è “Buongiorno uno stracazzo”, ma sono certa che può sempre peggiorare.
3) Resiliente: ce l’ho! Proattiva: ce l’ho! Informata: abbastanza! Indipendente: dipende da chi e soprattutto da che cosa… Terapista di mia figlia: ce l’ho, ma sono felice di condividere l’esperienza;
Pronta ad intervenire nelle emergenze: ce l’ho; Pronta ad accudire costantemente la mia pargoletta di 32 kg: ce l’ho, anzi l’ho avuto e spero di non doverlo mai più rifare completamente da sola. Oggi Ariel è tornata a scuola dopo 7 mesi. In questi mesi l’ho educata come fanno tutte le mamme, ma ho anche dato supporto educativo e sostegno, fatto logopedia, TMA, psicomotricità, servizi di trasporto privato (mi è giunta voce che mi stanno dando una licenza di taxista ad honorem). Lei ha più o meno mantenuto le competenze acquisite, io ho vinto un burnout e una confezione di pastigliette buone che, all’occorrenza, posso potenziare con la melissa e questa è la riprova che non tutti i mali vengono per nuocere;
4) Appesa al pennone dell’albero maestro;
5) Isterica e stressaminchia (la pastiglietta buona non fa miracoli, ma, in fondo, chi ci crede più?);
6) Onorata di essere la mamma dei miei figli;
7) Dispenser di snacky snacky e coccole, azzerbinata al piccolo di casa;
8) Isterica e bisognosa di farmi vedere da uno davvero bravo;
9) Meno presente di quanto vorrei e tendente alla fuga, pronta a scolarmi un bicchiere pieno di liquore al cioccolato bianco così che il bicchiere pieno diventi vuoto per tornare poi pieno fino allo svenimento dei sensi.
Ah, sono pure una lagna che non pensa che ciò che ci viene dato sia sufficiente e ossessionate da excel: avevo preparato una tabella fighissima a tre colonne, ma mi sono resa conto che qua non rendeva bene.
E voi come siete? Rispondete alle aspettative del mondo?
Ma in fondo, chissenefrega! L’importante è sapere chi siamo ed essere consapevoli dei nostri pregi e difetti, dei nostri punti di forza e di debolezza, rispettando le opinioni altrui senza scatenare la guerra dei mondi.
E soprattutto meritarsi ogni giorno l’affetto di coloro che ci vogliono bene anche quando la pastiglietta è meno efficace.
Per la realizzazione di questo post nessuna bottiglia di liquore al cioccolato bianco è stata maltrattata… finora, perlomeno. Cheers!
In fotografia i miei 4 stakeholders preferiti (portatori di interesse, n.d.r.) sconsolati. E pensare che quel giorno ero stata bravissssima!
Quando ero incinta di Davide, Luca era al settimo cielo: un maschietto! Un bambino con cui fare mille cose “da uomini”, loro due da soli: arrampicare, giocare a calcio, andare ai rally…
Accarezzando il pancione, lo avvisavo di non farsi illusioni, che Davide sarebbe stato anche mio figlio e che avrebbe potuto assomigliare a me, l’antisportiva per eccellenza, la pigrizia fatta materia.
Davide ora ha 10 anni e gioca a calcio, ogni anno va in Sardegna con il padre a seguire il rally, ma è troppo scoordinato per arrampicare: degno figlio di sua madre, preferisce andare in giro per musei, a spasso per le città d’arte, a sentire concerti. Diversamente da me, non ama leggere romanzi, ma, come il padre, divora riviste scientifiche e passa giornate intere a studiare l’atlante.
Davide è Davide.
In alcune cose somiglia a suo padre (soprattutto nell’occhio cinese e nei colori), in altre a me (mannaggia, se vorrei saper scrivere come lui!), in altre a nessuno: è semplicemente Davide, il miglior Davide del mondo. Un bambino dolcissimo, generoso ed estremamente rispettoso e leale.
Di Ariel sapete quasi tutto, forse troppo, ma quello che non vi ho mai descritto è la cura con cui sfoglia i libri, l’amore per l’acqua, la passione per le lettere e per i numeri: da piccolissima indicava qualsiasi scritta vedesse e ne voleva lo spelling. È una grande esperta di smartphone e, osservando la mia digitazione, riesce a bypassare tutti i blocchi che metto sul tablet.
Ariel è Ariel.
In alcune cose somiglia a suo padre (nella testardaggine e nell’occhio cinese), in altre a me (ridiamo entrambe come pazza guardando i cartoni animati), in altre a nessuno: è semplicemente Ariel, la miglior Ariel del mondo. Una bambina dolcissima, determinata e dotata di un’intelligenza viva.
Noi genitori ci facciamo sempre aspettative sul futuro dei nostri figli, sempre, indipendentemente dal loro funzionamento neurobiologico: scrivo continuamente del mio amore per Ariel, di quanto sia orgogliosa di lei. A volte scrivo quanto possano essere faticose le mie giornate con lei, raramente quanto mi manca un tipico rapporto “madre-figlia”… O meglio del tipo di rapporto che io mi sarei immaginata con lei, basato sulle mie caratteristiche personali, sulle mie aspettative.
Cresciamo insieme ai figli: noi genitori dovremmo essere l’esempio, ma molto spesso, in realtà, siamo noi ad imparare da loro.
Da Davide ho imparato la resilienza.
Da Ariel ho imparato la tenacia.
Da entrambi ho imparato il rispetto per le loro unicità.
Davide è Davide. Ariel è Ariel.
Cosa mi aspetto per il loro futuro? Niente, ma desidero tanto che che siano felici. Semplicemente questo.
Cosa mi aspetto dal mio futuro? La forza di lasciarli andare e di seguire i loro percorsi senza intralciarli, la determinazione a essere loro di supporto e di amare loro, non l’ideale che mi costruii in quei 9 mesi in cui le nostre vite erano una sola.
Scusate se ogni tanto mi crogiolo nel rammarico di ciò che non sarà, ma a volte il mio cuore di madre segue strade diverse dalla ragione. Ogni giorno, come Davide e Ariel, cerco di essere la migliore Katy possibile, ma a volte inciampo in me stessa e nelle ragioni del cuore.