Il mondo intorno a noi

Lui e lei

Lui e lei.

Un tavolino per due in una mattina di inizio estate.

Lui e lei, entrambi bellissimi, dai colori complementari. Lui biondo, gli occhi grigi e la barba di due giorni. Lei scura, gli occhi nocciola e la carnagione, ambrata dal primo sole, messa in risalto da un top tricot carta da zucchero.

Sono seduti di fronte. Lei parla, lui ascolta, leggermente obliquo rispetto a lei, la testa poggiata alla mano destra, la spalla e il viso rivolti a sinistra.

Alla cameriera ordinano un caffè per lui e un cappuccino e una brioche alla crema per lei. Lui chiede una brioche integrale che, purtroppo, ahimè, sono finite. Propone, quindi, alla ragazza di condividere la sua alla crema. Lei accetta, un dolce come simbolo di comunione.

Lei parla, lui sbircia la propria immagine riflessa.

Lei gli fa una domanda, lui risponde con un monosillabo.

La cameriera porta le consumazioni. Lui sorseggia il caffè, lei mangia con soddisfazione la brioche.

Lei parla, lui controlla alternativamente se stesso riflesso e il cellulare. Gli scappa un sorriso. Scrive qualcosa, sempre sorridendo.

Lei inizia a parlare più velocemente, sta entrando in ansia.

Lui non se ne accorge nemmeno.

Lei gli ricorda la metà brioche che non ha nemmeno toccato.

Lui alza le spalle e le dice che in realtà non ha fame. Lei la guarda indecisa, poi la prende in punta di dita e la mangia, ma senza piacere.

Lei si nasconde dietro la tazza di cappuccino.

Lui non si accorge di nulla.

A questo punto me ne vado, troppo forte la tentazione di darle un consiglio.

Scappa, ragazza, scappa: non è quello giusto per te.

O è troppo innamorato di se stesso o l’altra chat è più interessante di te.

Comunque sia, la verità è che non gli piaci abbastanza e probabilmente sei solo un errore di calcolo.

Ti meriti un uomo che si rifletta nei tuoi bellissimi occhi nocciola, non nella vetrina di una caffetteria.

Lui e lei.

Lui è innamorato di se stesso o forse di un’altra.

Lei è innamorata di lui, ma questo non basta.

Il mondo intorno a noi

Notte prima degli esami… 30 anni dopo

Questo non lo avevo proprio considerato: riprovare la medesima emozione di quella lontana notte, la paura di fallire, di fare tardi, di non essere perfetta nell’unica cosa che non mi costava fatica: studiare.

Domani sarò di nuovo a scuola per il primo giorno di maturità.

30 anni dopo.

A tutti i maturandi vorrei dare un abbraccio e dire: state tranquilli, comunque vada a settembre non sarete più gli stessi.

Non verrete valutati per ciò che siete, ma per quanto sapete di quel dato argomento che, magari, per sfortuna non avete ripassato o non avete mai compreso, ma non siete mai stati il vostro voto. Non siete un 100 o un 75 o un 60. Siete semplicemente voi che chiudete il primo cerchio della vostra vita.

Fidatevi di una vecchia maturanda: impegnatevi, date tutti voi stessi e poi dimenticate l’esame di maturità.

Andate avanti, ragazzi, e costruitevi un mondo migliore di quanto vi stiamo lasciando.

Viaggiate, leggete i classici, ubriacatevi d’amore, ballate, cantate, perdetevi in un museo, guardate i film in lingua originale con i sottotitoli, provate cibi nuovi, scalate le montagne più impervie, sia letteralmente che metaforicamente, imparate a suonare uno strumento, e, soprattutto, ridete.

Ridete fino alle lacrime, perché tra trent’anni ripenserete con dolcezza a questa notte, indipendentemente da come sarà andato l’esame.

In bocca al lupo maturandi e… Ad maiora semper.

La mamma "autistica"

Anche la roccia

Anche la roccia si spacca.

Essendo fatta di tutt’altra materia era, pertanto, scritto che prima o poi avrei ceduto pure io.

Fatto sta che martedì mi sono svegliata con metà viso che non sentivo più mio.

Diagnosi: paralisi di Bell.

Non controllo l’occhio sinistro e la bocca va dove vuole, anche se fortunatamente mi dicono che parlo bene. Fortunatamente, perché, essendo logorroica, sarebbe stato drammatico non poter ammorbare più i miei contatti con quei timidi vocali da 10-15 minuti che amo inviare.

La cosa più fastidiosa è bere con la cannuccia. Magari in pubblico. Magari un cappuccino al bancone del bar.

Ora il mio sorriso è un ghigno… Sembro Joker, ma senza trucco, perché in questo frangente guardarmi allo specchio è più difficile che mai.

Un’amica mi ha ironicamente detto (per fortuna quando il gioco si fa duro, gli amici iniziano a sdrammatizzare!): “E tu non sorridere!”
Effettivamente non è un momento che brilli per positività (eccezion fatta per il Covid che ha già ripreso a rompere i cojoni): ci vuole molto determinazione per cercare qualcosa per cui sorridere, ma io ho deciso di farlo ugualmente.
Per Davide e Ariel, per la mia famiglia, per le mie amiche: per non spaventare e soprattutto per non farmi compatire.

Sorrido e ringrazio.
Perché poteva essere qualcosa di peggio.
Perché ho persone che mi vogliono bene.
Perché possono ancora mandare tanti vocali.
Perché qualcuno mi ha mandato la borraccia con la cannuccia più fescion del mondo e che mi sono divertita a personalizzare.

Quindi faccio un brindisi alla vita e come al solito… Andrà tutto bene un cazzo!

La mamma "autistica"

Krapfen e bruschetta

Confesso di essere vagamente nervosa e ansiosa, una specie di krapfen farcito male, insomma.

Quando sono in questo stato d’animo divento iperattiva. Più del solito, intendo: un uragano che in casa sposta tutto e spazza via qualunque cosa, peggio di quelli che hanno imperversato nei giorni scorsi.

Fatto sta che poco fa la Princess Non Più Cicciottini (i chili persi da lei sono stati prontamente raccolti dalla sottoscritta, ché come diceva la mia nonna Nene: “Sprecare cibo è peccato mortale!”), mi ha portato il suo flacone di CBD con tanto di cucchiaino.

Adesso devo solo capire se lo vuole prendere lei o se è un invito per me, un diplomatico tentativo di farmi capire che mi devo dare una calmata.

Per ora l’ho somministrato a lei, ma non è detto che prima o poi non mi faccia tentare da un percorso degustazione con filo di olio di CBD su pane di Altamura: una bruschetta fuori dagli schemi, come i membri di questa piccola famiglia scombinata, dove ognuno si prende cura degli altri. Una specie di krapfen farcito di amore, insomma.

(Immagine di un bombolone farcito che mi mangerei volentieri come dessert e che, invece, sognerò tutta la notte. Maledetta dieta! Riconfermo ciò che ho sempre sostenuto: sono i sensi di colpa che fanno ingrassare, non la Nutella.
Ma questa è un’altra storia!)
– Fotografia tratta dal web –
Il mondo intorno a noi

Papaveri rossi e bianchi

Dovrei studiare e invece eccomi qua a ribadire l’ovvio: non è vero che il motto “che se ne parli bene o che se ne parli male, l’importante è che se ne parli” è sempre valido. Soprattutto se si tratta di disabilità. Soprattutto se ci si nasconde dietro alla buona fede per rifiutarsi di aprire un confronto costruttivo, perché “io lo faccio a fin di bene!”

Uno degli slogan di cui tutti si riempiono la bocca è “niente su di noi senza di noi”, ma, appena una persona con disabilità o un suo familiare dissente, viene zittita.

Mi ero ripromessa di non tornare più sulla spinosa questione dei calzini spaiati: ognuno faccia ciò che crede, però con la cognizione che non è così che si aumenta la consapevolezza sulla diversità e che una narrazione etica non può prescindere dall’autodeterminazione delle persone coinvolte. Se le persone con disabilità e le loro famiglie non si riconoscono in questa giornata, la loro volontà va rispettata.

In questi anni intere classi hanno indossato i calzini spaiati credendo di essere inclusivi e poi:

  1. Il compagno è stato fatto trasferire, perché non riusciva a gestire le crisi etero-aggressive;
  2. La compagna non è stata invitata alla festa di compleanno, perché “dovrebbe essere rinchiusa in manicomio” (citazione letterale);
  3. La famiglia è socialmente isolata, poiché non può partecipare alle diverse iniziative. A volte è impossibile anche mangiare una pizza al ristorante, poiché il bambino non ha sufficienti tempi di attesa o perché l’ambiente è troppo rumoroso;
  4. Il compagno con la mamma distratta è andato a scuola con i calzini uguali e non è stato inserito nella fotografia di gruppo, perché era troppo intonato nella giornata della diversità.

Lo confesso: a me non piace che Ariel venga paragonata ad un calzino spaiato, perché lei di spaiato non ha assolutamente nulla e francamente dopo tutti questi anni sono convinta che è finito il momento di parlare di inclusione ed è arrivato il momento di FARE inclusione.

Scopro, invece, che le maggiori barriere le costruisce chi dovrebbe essere un facilitatore.

In poche parole: mettetevi pure i calzini spaiati oggi, ma solo se domani invitate il “calzino” alla festa di compleanno, altrimenti lasciate perdere ché non abbiamo bisogno di sentirci ulteriormente discriminati e soli.

E pensare che la diversità in natura è la cosa più normale del mondo e i papaveri rossi non fanno la giornata dedicata ai papaveri bianchi: coesistono. Semplicemente.

Photo by Pixabay on Pexels.com
La mamma "autistica"

Torneranno

Sono tornate le primule.

Le aspettavo.

Vorrei essere una primula:

gialla, fedele a me stessa, l’inverno quasi alle spalle,

le neve ancora sulle montagne.

Torneranno i tulipani.

Li aspetto.

Vorrei essere un tulipano:

rosa o viola, bianco o rosso, la primavera che incombe,

le rondini finalmente annidate.

Torneranno i girasoli.

Li aspetto.

Vorrei essere un girasole:

il cuore grosso, i petali tutt’attorno, la primavera sarà finita,

benvenuta estate!

Torneranno le risate:

Le aspetto.

Vorrei ridere fino alle lacrime:

le labbra pittate, il sorriso storto, ma sincero come l’inverno

che avrò lasciato alle spalle.

immagine tratta da turismo.it
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Avere la 104 non è un insulto

Leggo un post in cui si commenta un fatto di cronaca.

Come sempre ci sono commenti a favore dello scrittore, altri contro.

Poi l’ultimo, triste, bieco commento: “Chi ha fatto il post ha la 104 sicuramente”, con un ovvio riferimento ad una supposta disabilità intellettiva.

Questo di usare la 104 come se fosse un insulto sta, ahimè, diventando una brutta moda tra i poveri di spirito.

Vado a sbirciare chi è questo ennesimo fenomeno dell’etica sociale: immagine del profilo mentre brandisce una racchetta da tennis, studia (o ha studiato) scienze motorie e ama molto i selfie.

Caro il mio tennista, avere la 104 non è un insulto.

Il vero insulto sei tu che in tutto il tuo splendore e sagacia non sai fare altro che usare uno strumento a tutela dei disabili come una pietra.

E sì che sei pure “studiato”. All’Università non ti hanno insegnato che disabili non solo si nasce, ma anche si diventa e che il karma è una brutta bestia?

Ti auguro lunga vita senza bisogno di quella legge che ora tanto discrimini, ma stai tranquillo: se mai tu o i tuoi parenti ne avrete bisogno, noi vi accoglieremo a braccia aperte nel nostro gruppo di famiglie in difficoltà, perché, avremo mille deficit fisici o intellettivi, ma sicuramente noi non siamo disabili emotivi come te.

Immagine dal web
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Metafora

La vita è come un dolce fritto: a volte nasci ciambella, a volta nasci buco.

Ciò che conta, sempre e comunque, sono la temperatura dell’olio e l’equa distribuzione dello zucchero.

Il resto è solo lievitazione.

P.S.:  Ariel ed io abbiamo fatto le ciambelle per far lavorare le manine disprassiche della  Princess. Credo che a forza di lavoretti tra un po’ mi denuncerà per sfruttamento minorile.

Ciambelle fatte insieme ad Ariel
Il mondo intorno a noi

Ho visto l’amore

Oggi ho incrociato l’amore.
Viaggiava in sedia rotelle.
Aveva affusolate dita ritorte con unghie perfette che altre mani hanno smaltato di rosso carminio e stanchi occhi di madre.
Si è espresso potente: un delicato tocco della mano a spostare un ciuffo ribelle, poche parole sussurrate all’orecchio dell’amata, una coperta rimboccata.

Oggi ho osservato l’amore.
Era così denso che si poteva quasi toccare.
Profumava di violetta e di lacca per i capelli, sapeva di caramelle al limone e di sale ché ad una figlio non dovrebbe mai succedere.

Oggi ho visto passare l’amore.
L’ho sentito battere sordo tra di loro.
Indossava un loden verde e scarpe con il tacco quadrato, aveva le spalle incurvate dall’età o dal dolore. Chi lo sa.

Il mondo intorno a noi

Libertà di scelta

Possibile che uno non possa decidere liberamente cosa fare da grande?

Povero Sergio, 130 anni e costretto a fare il Presidente di questa Repubblica guidata da cialtroni che in 7 anni non sono riusciti a trovare un’alternativa.

Tu volevi fare il pensionato, passare le giornate a guardare i cantieri con le mani dietro la schiena e a buttare il becchime ai piccioni, al massimo una giornata di pesca amatoriale.

E invece, no!

Devi restare al Quirinale.

Io faccio il tifo per te: scappa, Sergio, scappa e non guardarti mai indietro. Mal che vada salirò io al Quirinale al posto tuo: sono pure disposta a chiedere qualche consiglio a quella sempiterna della Betty.

Io inizio a fare i bagagli… Prima cosa la crema antirughe, perché, Sergiuzzo mio, ho visto che hai solo 80 anni: il Quirinale fa male alla pelle… Evidentemente un anno là dentro conta 7 come per i cani.

Keep in touch, Sergio!

(Immagine creata dalla sottoscritta in un momento di deficienza mentale acuta)