Entriamo in ascensore. Mi guardi con l’aria furbetta delle grandi occasioni e velocemente schiacci il tasto 1. Scoppi a ridere.
Io ti guardo ti traverso, lo sguardo fintamente arcigno, le mani sui fianchi: “Patata, dobbiamo andare al terzo piano!”
L’ascensore si ferma. Tu rapidamente schiacci il 2 e ridi. Ti guardo torva: “Ariel, il 3, noi dobbiamo salire al terzo piano!”
Mi guardi da sotto in su, il viso a tre quarti, il mio sorriso storto riflesso nel tuo.
L’ascensore si ferma e schiacci il 3 con l’aria della Santa Maria Goretti.
Finalmente siamo arrivate ed entri felice nell’ingresso dello studio, lo zainetto che ballonzola sulle spalle, il cappellino con la visiera all’indietro.
Al termine della seduta, usciamo e ci ritroviamo di nuovo di fronte al nuovo, spassosissimo giocattolo: l’ascensore.
Hai di nuovo quello sguardo e vorrei tanto continuare a giocare con te, ma se voglio evitare di fare più tappe del giro d’Italia ogni volta che vengo qua, devo trovare una soluzione.
Prima che tu schiacci il 2, con voce flautata ti propongo: “Ariel andiamo a prendere una Coca?”
Il rinforzatore, potentissimo, batte il nuovo gioco: muovi velocissima la testa in su ed in giù, dici “Í” e schiacci lo 0.
“Brava, Ariel, super! Dammi un 5!”
Sorridendo, batti la mano contro la mia e io ti abbraccio forte.
E oggi il bicchiere è pieno di sorrisi e amore per una bambina a che a 8 anni sta finalmente imparando a fare gli scherzi alla sua mamma.