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Quello che non vorrei mai leggere sull’autismo

Una storia può essere narrata in diversi modi: si può scegliere di raccontarla in prima persona, di far parlare uno dei personaggi o di usare un punto di vista esterno; si possono riportare i fatti in modo razionale o emotivo, ma le parole sono importanti SEMPRE, indipendentemente da chi parla, a maggior ragione se non è il protagonista principale.
Non mi piacciono le generalizzazioni: quando io parlo di autismo, parlo di mia figlia, non mi permetterei mai di parlare a nome dell’intera comunità autistica (persone autistiche e famigliari). Io parlo per me stessa e spero di essere una valida voce per mia figlia, ma non do voce a tutti, non potrei: ogni persona autistica è diversa dall’altra, ogni famiglia è diversa dall’altra.
Non mi piacciono i luoghi comuni: tra i tanti, quello che più mi fa arrabbiare è quello dell’aggressività. Mia figlia a volte lo è, ma c’è sempre un antecedente che scatena la sua rabbia e spesso si tratta della non comprensione delle sue necessità. Un riflesso negli occhi o un suono che sente solo lei, ma che provoca dolore, l’impossibilità (o la fatica) di comunicare, il non sentirsi compresa, possono attivare manifestazioni violente contro se stessa, ma non sono tutte le persone autistiche sono aggressive, anzi! Parlare dell’aggressività come di uno dei tratti tipici delle persone autistiche potrebbe indurre paure difficili da scardinare: dovremmo lottare per la loro inclusione, non generare ulteriori pregiudizi.
Non mi stancherò mai di dire che le parole sono importanti: l’autismo non “può sopravvenire”, si nasce autistici. Ciò che “può sopravvenire” è al massimo la diagnosi che, in base al momento in cui iniziano a manifestarsi i sintomi dell’autismo, può avvenire più o meno precocemente.
Non mi piacciono i racconti violenti o volgari in cui vengono descritte situazioni estremamente personali: le medesime cose possono essere narrate in maniera efficace, rispettando il diritto alla privacy della persona autistica. Prima di descrivere una qualsiasi situazione con mia figlia, mi chiedo sempre se la scriverei esattamente così anche se stessi parlando di suo fratello: la disabilità non rende la privacy di Ariel meno degna di tutela di quella di Davide, anzi forse va trattata anche con maggiore attenzione, poiché lei difficilmente potrà raccontare la sua versione dei fatti.
Ci si focalizza spesso sul basso funzionamento, poiché è quello che più pesa sulle famiglie, quello che ha bisogno di risorse, di dare sollievo a genitori stremati e fratelli “dimenticati”, ma c’è anche l’alto funzionamento, persone che hanno famiglia e lavoro, che cercano costantemente uno spazio per raccontare la propria esperienza e che si potrebbero sentire offesi nel leggere alcune interviste o articoli.
Io ho sempre difeso a spada tratta il nostro diritto di genitori a raccontare, perché siamo una delle parti in causa: l’autismo non lo viviamo da dentro, ma lo viviamo sulla pelle, con l’anima e con il cuore, ma c’è un limite che ci dobbiamo dare ed è quello del rispetto delle persone autistiche.
Se vogliamo parlare, non possiamo veicolare messaggi errati. Abbiamo tutto il diritto di raccontare il nostro dolore e la nostra sofferenza, il nostro percorso di vita può essere di aiuto ad altri genitori: la vita dei nostri figli è influenzata anche dal nostro rapporto con loro, non solo dai nostri geni, ma perdìo, se parliamo facciamolo in maniera corretta con parole adeguate e con informazioni scientificamente dimostrate. Si sa ancora poco dell’autismo ed è non dobbiamo trasmettere informazioni errate o ledere la dignità degli autistici.
Cari giornalisti, mi rivolgo direttamente anche a voi, a voi che lavorate con le parole: le persone sono autistiche (non sono “con autismo” , non sono “affette da autismo”), l’autismo non “si combatte” e noi genitori non siamo “contro” l’autismo, perché significherebbe essere contro i nostri figli.
Noi genitori li amiamo con tutto il nostro essere anche per le loro peculiarità.
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2 pensieri riguardo “Quello che non vorrei mai leggere sull’autismo

  1. Ho sempre la necessità di dire la mia, di dire come vedo le cose, i vari lati delle cose.

    Leggo quello che scrivi, e non ho niente da dire.

    Tu voi, parlate anche a nome mio.

    Grazie.

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