“Parla! Ed è pure bionda!”
In quel momento urlai il primo vaffanculo della mia vita. Mi uscì così, spontaneamente e a pieni polmoni, guardando dritto in faccia un maschilista che, non potendo avere ciò che avrebbe voluto, pensò bene di comportarsi come la volpe davanti all’uva.
In quel preciso istante ho giurato a me stessa che non avrei mai permesso a nessuno di infilarmi in una casella basata sul pregiudizio e di zittirmi.
Tutti siamo stati vittima di pregiudizi nati da stereotipi e non serve scadere nel razzismo per esserne vittima: i bambini con gli occhiali sono secchioni, le bionde sono sceme, gli statali non hanno voglia di lavorare, i friulani sotto tutti ubriaconi e misogini, i tatuati sono drogati…
Cosa sono gli stereotipi? Sono le basi cognitive del pregiudizio: scorciatoie con le quale ogni individuo quotidianamente interagisce, perché spesso la nostra mente non è sempre in grado di analizzare e comprendere l’infinita varietà di sfumature del mondo. Hanno una funzione difensiva, perché oltre a garantire la conservazione delle posizioni sociali acquisite da un individuo all’interno o all’esterno di un gruppo, lo proteggono anche da cambiamenti indesiderati.
E il pregiudizio, invece? È un giudizio errato formulato in modo superficiale che porta ad assumere atteggiamenti scorretti nel momento in cui si devono stabilire dei rapporti sociali.
Le persone autistiche, più di altre, pagano quotidianamente il loro dazio al pregiudizio basato su stereotipi quali la mancanza di empatia, la presunta genialità in alcune discipline quali musica o matematica o, al capo opposto, il deficit cognitivo, l’anaffettività, il non voler essere toccati, la mancanza di ironia…
Alcune persone autistiche hanno queste caratteristiche, tanto quanto le hanno alcune persone neurotipiche, altre no: la variabilità umana è talmente ricca di sfumature che la generalizzazione la impoverisce.
Ariel, ad esempio, non è assolutamente un genio della matematica ed è iper-affettuosa, tanto che uno dei rinforzatori più potenti in assoluto con lei sono gli abbracci e le coccole.
Una delle peculiarità più tipiche della Princess è l’empatia, ma nell’accezione che ne fece W. Armstrong: «L’empatia è simile alla simpatia, ma mentre la simpatia dice: “Sento come te”, l’empatia dice: “So come ti senti”. In altre parole, l’empatia ci consente di usare le nostre teste più dei nostri cuori e ci consente di apprezzare i sentimenti di un’altra persona senza essere emotivamente coinvolti con lei.»
Se Davide piange, gli si avvicina e gli fa una leggera carezza sulla testa.
Quando era all’ultimo anno di asilo, il suo cuginetto Christian era nei piccolissimi e piangeva spesso. Tutti i giorni Ariel entrava nell’aula di Christian e lo abbracciava: era il suo modo per rassicurarlo e dirgli: “So che stai male, ma io sono qua per te” ; poi, veloce com’era arrivata, usciva dall’aula per tornare dai suoi compagni.
In un momento particolarmente difficile, scrissi a diverse persone cercando conforto e spunti di riflessione.
Quasi tutte mi diedero consigli, razionalizzarono la situazione e mi spronarono a trovare delle soluzioni alternative. Tranne una.
Una sola persona mi chiese: “Come stai?”, partecipe della mia sofferenza.
Si trattava di una persona autistica.
A volte, però, anche le persone più sensibili possono distruggere un ponte: succede quando, sentendosi attaccate nei loro affetti, nelle proprie credenze e fragilità, perdono la componente razionale che l’empatia dovrebbe portare con sé. Alla fine restano solo il dolore, la rabbia e la disillusione. E questo non ha nulla a che fare con il funzionamento neurobiologico, ma con le emozioni ed i sentimenti: possiamo percepire le situazioni in modo diverso, ma il dolore è dolore, la gioia è gioia.
Per una volta non vi lascio la morale, spero che siate così privi di pregiudizi da trovarla da soli. Un abbraccio dalla vostra bionda svampita e parlante preferita.

Grazie.
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Grazie a te 🌹💙
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