La mamma "autistica"

Criceti

Lei. Lui. Lei. Lui. Lei. Lei. Lui.

I loro respiri si alternano pesanti nel sonno anche se quelli di Lui sono un più lunghi di quelli di Lei e così Lui ne perde uno ogni due di Lei.

Io li ascolto, mentre questi maledetti criceti che ho nel cervello continuano a sbattersi contro gli uni gli altri e il mio cuore accelera, mentre la pressione fluttua su e giù, la percepisco dal ronzio delle orecchie e dal fuoco che mi sale alle guance.

Vorrei dormire. Non riesco.

Vorrei trovare soluzioni. Non posso.


Vorrei avere uscire dal letto. Impossibile.

Lui ha deciso che stasera mi deve consolare e che, pertanto, devo mettermi nel letto tra di loro. E così eccomi qua bloccata da un braccio di Lui e avvinghiata da una gamba di Lei.
È sempre più difficile nascondere le cose a Lui, a Lei non è mai stato possibile: Lui sta crescendo troppo in fretta, di questo passo, alla fine dell’estate sarà più alto di me e la sua capacità di introspezione fa sì che riesca a cogliere ogni minima sfumatura delle mie espressioni; l’istinto di Lei, invece, è così ben modulato da essere lo specchio dei miei stati d’animo.

Sarebbe facile dire che sono preoccupata per Lei, addossare all’autismo questa ennesima, eterna notte in bianco. Sarebbe facile, ma non veritiero e rispettoso di Lei.

In questo momento i criceti fanno a pugni tra di loro, i maledetti! Cerco di separarli, di dare loro un nome, un’identità, una priorità.

Potrei usare i codici a colori come in Pronto Soccorso:
– Criceto bianco: può aspettare anche qualche giorno.
– Criceto verde: può aspettare anche dopodomani.
– Criceto giallo: deve essere risolto domani.
– Criceto rosso: deve essere risolto prima possibile, anche subito.

Peccato che il criceto rosso di stocazzo (forma aulica di origine basso medievale) non dipenda da me e che io debba stare qua ad aspettare che i professionisti facciano il loro lavoro.

Intanto ogni secondo che passa, io muoio un po’ e cerco di acchiappare criceti impazziti.

Gli altri tre roditori sui quali potrei avere maggiore controllo, si rifiutano di rientrare nelle loro ruote: “Quello rosso! Prima devi acchiappare quello rosso!”, protestano.

Così eccomi qua: sveglia, stanca, depressa, rabbiosa, ansiosa a cercare di domare pensieri e situazioni imprescindibili dalla mia volontà.

Intanto Lui ha spostato il braccio, Lei ha cambiato fianco.

Lancio kitemmuort a tutti quelli che mi hanno messa in questa situazione di ansia e, come un furetto artritico, esco dal letto e al buio vado in cucina. Metto su il bollitore, ma lo sostituisco in fretta, perché sia mai che il fischio svegli quelle due splendide creature che mi hanno invaso il letto.

Sciolgo una… anzi, facciamo due buste di melatomilla con uno… anzi, facciamo due cucchiai di zucchero e mi metto sul divano al buio a sorseggiare la camomilla in compagnia dei criceti. Loro stanno rallentando, la mia ansia no.

Dovrei prendere le goccine buone, ma cerco di resistere, non voglio un aiuto chimico. Voglio solo che per una volta, per una sola volta le cose vadano dritte senza intoppi, ma nella mia vita questo non pare essere possibile.

Oggi sono stata lì lì per mollare. Ieri ho avuto davvero pensieri brutti, ma poi ho pensato a Lui che mi diceva: “Mamma, tu non molli mai!” e a Lei che mi sorride fiduciosa guardandomi da sotto in su.

Io non mollo mai.

Non mollerò nemmeno questa volta, non posso deludere Davide, non posso tradire Ariel, ma una tregua, perdìo, ho bisogno di una tregua.

Immagine dei criceti che prendono la camomilla con me – Fonte web
Davide · La mamma "autistica"

E poi…

(Scarpe slacciate)

E poi…

Un giorno ti guardi attorno e scopri di essere diventata autisticocentrica: il correttore riconduce tutte le parole con prefisso aut- alla condizione di tua figlia; magari esci una sera con gli amici per svagarti un po’ e ti ritrovi a parlare di percorsi di abilitazione, di diagnosi precoce, di sensibilizzazione.

E poi…

Ti senti un involucro di carne, muscoli, ossa a proteggere una massa pesante di ansia e preoccupazioni.

Soprattutto, quando hai avuto una brutta giornata, perché il capo in ufficio non apprezzato la tua proposta o il figlio maggiore ha combinato una marachella: ti senti vuota come uno degli otri di vino buono alla nozze di Cana e sussurri quasi con vergogna:

“Non è colpa dell’autismo, oggi non c’entra niente…”

Come se l’autismo fosse una persona della famiglia. O meglio è una persona della famiglia: è tua figlia, quella creatura bionda che ti guarda fiduciosa, che ti sale in braccio come quando aveva 4 anni e che tu ora fai fatica a sollevare. Come può essere colpa sua? Non c’è colpa, c’è solo da rimboccarsi le maniche, abbracciare e rispettare, studiare e imparare dal cuore, farsi emozionare dai libri di coloro che parlano delle loro esperienze, razionalizzare le lacrime, emozionare i dati statistici.

E poi…

Leggi, studi, osservi, registri e, forse, impari.

E intanto…

Il figlio maggiore cresce da solo. Un attimo fa era un nanerottolo che ti chiedeva preoccupato:

“Mamma, Alielel sta male?”

e ora è un ragazzino che si entusiasma con lei e per lei, che si preoccupa quando gli altri non la capiscono, che con forza e a pugni stretti avverte:

“Non è scema, è autistica!”

Sua sorella è l’autismo, l’autismo è sua sorella. Se usare la parola normalità non fosse un azzardo per qualsiasi vita, potremmo dire che questa è la sua normalità: difendere i diritti della sorella, contare per darle prevedibilità, rinforzare i suoi comportamenti positivi.

E lui?

Lui non chiede mai niente per se stesso, è un po’ sbadato, a volte maldestro, ma fin troppo responsabile e attento a non mostrare mai le proprie debolezze.

Fino a un paio di settimane fa.

Una domenica sera abbiamo ricevuto la comunicazione che era stato spostato di sezione, ma non sapevamo quali amici avrebbero affrontato con lui il nuovo viaggio alle scuole medie. E, via!, parte il  tamtam delle mamme per scoprire le nuove formazioni: 2 amici su 5 sono ancora in classe con lui. Bene, ma non benissimo. Tutti e 6 sono destabilizzati da questo cambiamento, si erano crogiolati tutta l’estate nell’idea di essere insieme ancora per 3 anni. A quest’età 36 mesi sono una vita, si passa da bambini a ragazzi, cambia la voce, crescono peli in posti inaspettati, si scopre che “le femmine” non sono poi tanto male…

E poi…

Di punto in bianco, il gruppetto è spezzato, il labbro inferiore trema e una goccia di pioggia salata si forma all’angolo dell’occhio destro.

Guardi tuo figlio, lo abbracci godendoti il suo profumo e, chiedendoti per quanto te lo lascerà ancora fare, gli spieghi che si può essere amici anche frequentando sezioni diverse, che ci sono il calcio e le feste di compleanno e le partitelle in giardino.

La testa bruna, che ti aveva tanto stupita al momento della nascita e che, a differenza della sorella, è sempre rimasta della medesima nuance, annuisce poco convinta.

E allora dimentichi l’autismo, te ne freghi dello sconquasso che sei certa che ne nascerà e ti lanci in una provocazione:

“Ti dimostro che si può essere amici anche senza essere in classe insieme.

Organizziamo il pigiama party dell’amicizia!”

Così venerdì scorso mi sono ritrovata in casa 3 undicenni e 3 decenni in scadenza, rumorosi, ridanciani, divertenti, sciocchi come si può essere solo a quell’età.

Accampati in soggiorno hanno giocato alla Play Station e guardato film fino alle 4. Sul tavolo acqua e patatine per lo spuntino di mezzanotte e nel cuore tanta voglia di stare insieme.

Quando diventavano troppo molesti, entravo in soggiorno camuffando il sorriso nel mio sguardo più severo: “Abbassate la voce, perché se si sveglia Ariel vedete un mostro ben più pericoloso dei dinosauri di Jurassic Park!”

Alcuni occhi rivolti al cielo, altri in basso, tutte le bocche a mormorare: “Sì, sì, hai ragione!”, salvo poi riprendere a ridacchiare appena uscita dalla porta.

Mentre dormivano e il sole iniziava a filtrare dalle saracinesche, ho preparato la loro colazione: Davide si era tanto raccomandato:

“Mamma, devi fare una colazione continentale”,

ossia piena di ogni ben di dio: latte, Nesquik, succo, the, merendine, biscotti, Nutella, marmellata, fette biscottate, pane in cassetta…

Ariel, svegliatasi alle 7, era stata spedita dai nonni per stare più tranquilla e non svegliare i nottambuli.

Se ne sono andati alla spicciolata, dopo la colazione ed un ultima partita: la casa è tornata quella di sempre, piena solo delle stereotipie di Ariel e delle voci dei doppiatori alla televisione.

Davide mi ha abbracciata e non ha detto niente.

E poi…

Poi escono da scuola, tutti e sei con la scarpa sinistra slacciata, sei ragazzi non più bambini che hanno scelto come simbolo della loro amicizia un fiocco sciolto, una cordicella che pende libera di essere se stessa.

E poi…

Provo a portare in giro per la città la mia scarpa slacciata, alla disperata ricerca di un reflusso adolescenziale, ma non mi godo il momento: ogni stagione ha una sua bellezza, un’atmosfera che il sole illumina diversamente.

L’autunno non può essere la primavera e io non posso essere una decenne in scadenza, ma posso guardare il mondo con gli occhi di mio figlio è stupirmi per le brume, i rossi e gli arancioni, gioire per il profumo delle castagne ed essere grata per tutto quello che ho, anziché piangere per quello che manca.

Il mondo intorno a noi · La mamma "autistica"

Dubbi, errori e sogni (citazioni da trattare delicatamente)

“Siamo fatti della stessa sostanza dei sogni”[1]

Prospero, bello de zia, parla per te.

Io sono fatta della stessa sostanza di dubbi ed errori e, sì, anche, dei sogni, ma in percentuale variabile:

100% essere umano di cui:

30% dubbi

30% errori

20% sogni

15% Nutella

5% miscellanea

Le maree, le fasi lunari, il sole e la pioggia, le ore di sonno goduto e soprattutto quelle di veglia hanno un impatto notevole sulla mia composizione.

Sono un capo delicato tra trattare con cura, un dilemma vivente, l’angoscia fatta materia.

Basta un nonnulla per tirare un filo della mia sottile trama e smatassare ogni certezza.

“E c’è chi non si sbaglia mai
ti guarda e sa chi sei.
E c’è chi non controlla mai
dietro la foto.
E c’è chi non ha avuto mai
nemmeno un dubbio mai.”[2]

Luciano, credimi, non sono io… Lo giuro… Faccio colazione con caffè e dubbi, a pranzo mangio solo una mela (non per strada e senza i libri di scuola[3]) con contorno di ansia. Ogni volta che devo prendere una decisione che riguarda i miei figli, vengo colta da mille timori.

Come adesso: ho deciso di disintossicare Ariel dal cellulare. Era diventato una vera ossessione, non poetica come quella della Merini[4], solo un devastante chiodo fisso che la rinchiudeva in un mondo fatto di personaggi buffi dalle voci cantilenanti. La stesse parole ripetute in un circolo infinito: “1-2-3 stella, voglio giocare a un 1-2-3- stella”[5] e il destino ingiusto di un “elefante indiano con tutto il baldacchino”[6]. Se non riusciva a trovare l’esatto punto di inizio delle strofe, si faceva male: si mordeva e graffiava la braccia o le sbatteva contro il tavolo; buttata a terra, sbatteva la testa contro il pavimento e piangeva, piangeva lacrime di rabbia, dolore e frustrazione. Una dipendenza da aggeggio elettronico paragonabile a quella di Harry Hole per l’alcool.[7] Da quando ho preso l’amara decisione di procedere con la detox elettronica, abbiamo trascorso (e stiamo tutt’ora trascorrendo giorni difficili) e il dubbio mi assale continuamente. Quando mi chiede “TE!TE!” con un’azzurra fiamma di speranza negli occhi,  la testolina buffa che annuisce ad imbeccare la risposta che vorrebbe sentire, il mio cuore sprofonda in un abisso scuro di cui non si vede il fondo. Sebbene la Princess ora sia molto più divertita e attenta a ciò che la circonda e comunichi in modo più funzionale, c’è un notevole contrappeso: i suoi sensi sono ancora più esposti del solito e il sovraccarico è in agguato ad ogni uscita o visita che riceviamo.

Questa notte non ho chiuso occhio, la mente che viaggiava veloce alla ricerca di risposte che non riesce a trovare: avrò fatto bene? Sarà stata la scelta giusta? Avrei dovuto ridurre il tempo di utilizzo, anziché eliminare completamente il telefono?

Mi chiedo come sia essere uno di quei genitori che ha sempre una risposta a qualsiasi quesito e che non si pone mai dubbi.

Tipo la mamma di ieri che non ha allacciato il figlio al seggiolino. Lo vedevo muoversi sul sedile posteriore a destra e sinistra e continuavo a chiedermi: possibile che non veda il pericolo, che non le sia venuto il pensiero che il bambino potrebbe farsi molto male, addirittura morire, in caso di incidente?

O quelli del “mio figlio non sarà mai”, “mio figlio non farà mai”…

Per me ogni decisione presa è una libbra di carne da tagliare cercando di non versare il sangue[8] di chi amo, di scegliere pensando al loro benessere, alla loro serenità e non a ciò che io sogno per loro.

La verità è che la paura di commettere errori a volte mi paralizza, ma l’immobilità è peggiore, poiché mi fa sentire bloccata, senza possibilità di evolvere, una crisalide che non diviene farfalla.

Che poi sbagliare è uno dei pochi modi che conosco per imparare. Sbaglio e forse imparo. Commetto  di nuovo il medesimo errore e imparo sicuramente. Quando non sbaglio per un po’ di tempo, divengo eccessivamente spavalda e la certezza, che non mi è famigliare, mi fa commettere errori banali. Le poche volte in cui abbasso i livelli di attenzione e mi sento sicura, sbaglio. È  la mia personale matematica dell’errore:

la possibilità di commettere errori è direttamente proporzionale alla sicumera con cui affronto le situazioni.

E poi mi colpevolizzo, mi fustigo ripensando a ciò che ho fatto e che, invece, avrei dovuto fare. Vivo male i miei sbagli, ma invecchiando sto imparando che nessuno è immune agli errori e soprattutto che devo essere grata a chi me li fa notare: correggere un errore non significa sminuire chi lo commette, ma fornire strumenti affinché possa accrescere le proprie conoscenze ed evitare che li ripeta.

Ovviamente le modalità con cui mi vengono fatti notare, cambiano l’impatto che avranno su di me: d’emblée potrei mentalmente citare uno dei pezzi più noti di Masini[9], ma alla fine la ragione avrebbe la meglio.

Correggere un amico che sta commettendo un errore è un grande atto d’amore.

Correggere una persona che non è competente in una determinata materia, non significa allontanarla da essa, ma accrescerne la consapevolezza. Nessuno di noi è onnisciente e trovare persone che possono arricchire il nostro bagaglio personale è un dono prezioso. Faccio un banale esempio: i giornalisti spesso riferendosi all’autismo parlano di “malattia” o di “persone affette da”, nonché di “uomini e donne speciali”. Far notare loro che l’autismo non è una malattia, ma una condizione, che le persone non sono affette da (e nemmeno soffrono di) autismo, ma sono autistiche e che non sono persone “speciali”, ma persone con pregi e difetti, non è sminuire la loro professionalità, ma aiutarli ad avere un approccio eticamente corretto all’autismo.

E i sogni? Ogni mattina mi alzo presto, preparo il caffè e, guardando il sole sfumare il cielo di rosa,  sogno un mondo in cui le persone autistiche non debbano più lottare per i loro diritti, in cui non vengano uccise per un meltdown e in cui il diritto allo studio abbia il medesimo valore per tutti i bambini, anche e, soprattutto, disabili; sogno un primo giorno di scuola in tutti i bambini con necessità di supporto possano sedersi nel loro banco accompagnati dal loro insegnante di sostegno; sogno di poter essere concretamente di supporto alle persone autistiche. Sogno Ariel e Davide che giocano insieme e Baloo che mangia le sue crocchette. Sogno di tornare a New York, di imparare il russo e il cinese. Sogno di non essere più una parassita dello Stato e di poter onorare il Primo Articolo della Costituzione Italiana[10]. Sogno di aprire una Locanda con le camere azzurre, gialle e rosa e i letti in ferro battuto e un giardino d’inverno dove preparare la colazione agli ospiti guardando le stelle eclissarsi e lasciare posto al nuovo giorno.

Sogno di fare il Cammino di Santiago per ritrovare quella persona che ho perso per strada qualche anno fa e carezzarle lievemente l’anima sussurrando: “È andata bene, nonostante tutti gli errori e i dubbi, è andata bene. Cadrai ancora molte volte, ti perderai in sogni e labirinti, ma prima o poi ti ritroverai: sarai scarmigliata, le unghie spezzate, il viso indurito dalla fatica, ma sarai ancora tu, sempre tu. Non migliore, non peggiore, semplicemente tu.”

Somewhere over the rainbow skies are blue

clouds high over the rainbow, makes all your dreams

Come true, ooh.[11]

Photo by Matt Hardy on Pexels.com


[1] W. Shakespeare, La tempesta, Atto IV, Scena I. Prospero declama: “Noi siamo fatti della stessa sostanza dei sogni, e nello spazio e nel tempo d’un sogno è raccolta la nostra breve vita.”

[2] Luciano Ligabue, Quelli tra palco e realtà, musica e testi di Luciano Ligabue

[3] Vasco Rossi, Alba Chiara. “Cammini per strada mangiando una mela coi libri di scuola”. Musica e testi di Vasco Rossi

[4] Alda Merini: “Mi nacque un’ossessione. E l’ossessione diventò poesia.”

[5] Peppa Pig

[6] Piccolo Coro dell’Antoniano, “Volevo un gatto nero”

[7] Personaggio ideato da Jo Nesbo e protagonista, tra l’altro, del romanzo “L’uomo della Neve” da cui è stato tratto anche un film

[8] Shakespeare, Il mercante di Venezia, Atto IV scena I, Porzia: Questo contratto non ti accorda neanche una goccia di sangue. Le parole precise sono: “Una libbra di carne”. Prendi dunque la tua penale, prendi la tua libbra di carne, ma se nel tagliarla, versi una goccia di sangue cristiano, le tue terre ei tuoi averi sono, per le leggi di Venezia, confiscati dallo Stato di Venezia.

[9] Marco Masini, Vaffanculo

[10] Costituzione Italiana, Articolo 1: L’Italia è una Repubblica fondata sul lavoro.

[11] Judy Garland, Over the Rainbow, musica di Harold Arlen, testi di E.Y. Harburg.

La mamma "autistica"

Lacrime e parole

Amo scrivere.

Un tempo pensavo che fosse semplicemente catartico, ora so che è il mio modo di dire al mondo “Guardami, cazzo, ci sono anch’io!”

In questi giorni non so più scrivere.

Mi dimeno come un’anguilla in una vasca troppo piccola.

I miei pensieri sono automobili impazzite su lastre di ghiaccio.

Non riesco a piangere, non riesco a scrivere.

Le parole non scritte sono come le lacrime non versate: un urlo in gola che le corde vocali non riescono a produrre, gocce salate nascoste dietro le palpebre.

Anelo parole e lacrime.

Davide · La mamma "autistica"

Problem solving

Davide aveva quasi 3 anni, Ariel 18 mesi. Quella notte Luca era di turno e noi eravamo appena tornati a casa dopo un’intera giornata passata da mia madre, quando Davide iniziò a piangere e a protestare che voleva vedere Parigi a tutti i costi e rifiutandosi di scendere dall’auto. Era buio, faceva freddo, ero stanca e il marmocchio continuava a rompere le palle con Parigi.
“PORTAMI A PARIGI IL PIÙ PRESTO POSSIBILE!”
Stremata, gli dissi: “Va bene adesso ti porto a Parigi!”
Caricai nuovamente Ariel in auto, mi misi al volante e partimmo. Entrai in autostrada a Palmanova e lo portai dritto dritto all’autogrill di Gonars. Parcheggiai e, facendo un ampio gesto con il braccio, gli dissi: ‘Vedi, questa è Parigi! Si chiama la Villa Lumière perché è illuminata tutta la notte!”
Mi rimisi in marcia e uscii al casello di Porpetto. Davide mi ringraziò tutta la strada per averlo portato a “Parigi”.

Ok lo so, forse sono stata un po’ stronza, ma io preferisco pensare di avere dato sfoggio di ottime capacità di problem solving: alla fin fine è solo questione di prospettive! Io sono stata a Parigi più volte, ma non l’ho mai guardata con lo stupore e la gioia con cui Davide ammirò quell’autogrill. A volte il tanto è niente e il niente è tanto: tutto dipende dagli occhi con cui si guardano le cose.

Quando ricevetti la diagnosi di autismo di Ariel, ne fui devastata e pensavo che non mi sarei mai ripresa.

Oggi la vita non è assolutamente facile, anzi!, però è cambiato il mio approccio e guardo ai progressi di Ariel e non ai suoi deficit: ogni sua piccola conquista, ogni suo piccolo passo di formica è prezioso come un passo da elefante di un suo coetaneo.

Nonostante tutte le mie difficoltà personali di questo momento, seduta sotto il portico con in mano il primo caffè del mattino, guardo il primo sole del mattino fare capolino tra le foglie dell’oleandro e ringrazio la Vita per avere ancora una giornata da poter raccontare. Tutto il resto, in un modo o nell’altro, si risolverà.

E oggi il bicchiere è pieno di autogrill, torri di acciaio, luci e caffè caldo per ricordarmi che io ce la posso fare: sono o non sono la regina del problem solving?

Foto dal web

Ariel · La mamma "autistica"

Non chiudete quella porta

Ferma sull’uscio di casa, il cellulare nella mano sinistra, sto togliendo le chiavi con la destra quando Ariel mi spinge fuori, esce e… Chiude la porta.

Nuooooooooo! 😱😱😱😱😭😭😭

Il mio urlo di dolore riecheggia nella Bassa Friulana: siamo chiuse fuori.

Controllo tutte le porte e le finestre di casa, ma so, SO che è tutto sprangato: da 15 giorno chiudo tutto a chiave e abbasso le saracinesche ovunque per evitare altri bagni serali in solitaria della Princess.

Recupero le chiavi di riserva ed entro dal seminterrato, ma la porta in cima alle scale è irrimediabilmente chiusa.

Chiamo mia mamma, chiamo Luca e alla fine decido: sfonderò quella porta a martellate.

Thor, scansate che sto arrivando io!

Allontano Stregacombinaguai e Canesempreincalore e do un timido colpo al vetro.

Niente. Non succede niente al vetro che protesta emettendo una vibrazione che fa rizzare i peli di tutti e tre.

Basta! Ecchecazzo, pure la porta ci si mette oggi? Già sto nervosa di mio!

Immagino che al posto del vetro ci siano tutti coloro che hanno deriso i miei figli in questi anni e… Viene giù al primo colpo.

Fanculo, mai fare arrabbiare una mamma armata di martello, hai capito, vile vetro giallo?

Chiamo Luca e gli dico: “Siamo dentro.”

Lui: “Vabbè, vorrà dire che è la volta buona che cambieremo i serramenti…”

Esticazzi! Ad averlo saputo, li prendevo a martellate tre anni fa! 🤔🤔

E subito mi viene un’idea geniale: “Ariel… Arieeeeeeel, cucciola di mamma, vieni qua… Adesso ti insegno un bel gioco con questo aggeggio per distruggere le cose… Dai un bel colpetto sulla cassettiera di mamma, brava, continua così…” 😈

Chissà in quanto tempo quelli di Manomano consegnano l’aggeggio per bucare cose? 😁😁

Se oggi non vi risponderò, è perché sto lavorando per “rimodernare” casa. Sapevatelo!

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La mamma "autistica"

La tela di Penelope

Mi hanno somministrato un test sullo stress.

Tralascio i risultati, perché non vorrei demolire quel po’ di autostima che è rimasta sul fondo di quel povero bicchiere un tempo sempre pieno e oggi secco come il Lago Salato dello Utah.

Ciò che mi ha stupita è che alcune domande mi hanno costretta a prendere atto della mia attuale insofferenza (a volte vera e propria intolleranza) ad alcuni comportamenti di Ariel e che ormai associo a suoni ben precisi. Quando li sento, sbatterei la testa contro il muro: il “toc” sordo dell’ennesimo pomello di porcellana svitato e che sta cadendo sul cotto in cucina, il “vrrrm” delle saracinesche che vengono abbassate più volte durante la giornata per una casa degna di Edward Cullen (1), lo scroscio del bidet, casalinga riproduzione della Fontana di Nettuno, l’ululato rabbioso quando si spegne il wi-fi che non carica più bene da quando si è ciucciata il caricabatterie, il rotolare della bottiglia di CocaCola e il successivo “frzzzzz” schiumoso, la porta che sbatte a tutte le ore del giorno, il “ff ff” del flacone di docciaschiuma svuotato sul pavimento ridotto ad una scivolosa patina profumata.

Razionalmente so che alcuni comportamenti non dipendono da lei: fino a qualche settimana fa mi sarei seduta e armata di pazienza avrei cercato di capire quale ne è la causa scatenante. Ora, invece, sono troppo stanca e ogni piccola cosa mi dà sui nervi: urlo come una pazza isterica, sbatto cose qua e là, a volte mi do fastidio da sola.

Mi sento una madre indegna, perché dovrei essere più paziente.

Passo le giornate a raccogliere pomelli, ad alzare saracinesche, a spegnere luci, a pulire pavimenti appiccicosi o schiumosi, a riaccendere il wi-fi, a stendere asciugamani sul pavimento del bagno allagato. Ovviamente mi faccio aiutare da lei: deve capire che i suoi comportamenti hanno delle conseguenze. Ripeto, so che dovrei cercare di capire qual è l’antecedente, ma non ne ho la forza né il tempo: ogni minuto della giornata è scandito, non posso perdere il ritmo!

Eppure quando mi prende per mano e mi fa sedere vicino a lei, dimentico tutto, la rabbia, la fatica, la disillusione e resta solo il nostro amore. Almeno fino al prossimo disastro.

Sono confusa, mi sento accerchiata da mille pensieri: da una parte ci sono i comportamenti che dovrei comprendere e cercare di risolvere in maniera funzionale al suo modo di essere e dall’altro le sue difficoltà che mi fanno sentire impotente.

Nella condizione di Ariel ci sono diversi deficit che mi fanno soffrire, ma due più di tutti: la disprassia e la sua difficoltà nel consolidare gli apprendimenti. Ogni giorno ripetiamo gli esercizi, lavoriamo molto sul cognitivo, sulla lettura globale, sulla videoscrittura: quando un obiettivo sembra appreso, passiamo ad altro. All’inizio cantavo gli osanna e gioivo entusiasta per ogni piccolo passo in avanti, ora non più: sono felice dei suoi progressi, ma cerco di non fare voli pindarici, perché so che con lei non c’è mai niente di certo e che tra qualche mese potrebbe aver dimenticato quanto imparato con tanta fatica.

Da qualche tempo ha iniziato a dire qualche parola, ma non mi sono concessa la gioia che mi sarei meritata, la paura di non sentire più la sua voce è più forte. Ci sediamo sul divano e prendo le immagini da farle ripetere: papà, Davide, Mattia, Christian, Coca… Ogni giorno, più volte al giorno con l’eterna paura di non sentirla più parlare. L’ho registrata per avere un ricordo nel caso in cui la sua voce se ne andasse com’è arrivata: all’improvviso.

Potrei essere una madre migliore, forse un tempo lo sono stata, ora però sono stanca e, nonostante tutto, tutti i giorni mi siedo con lei sul divano e ripetiamo: papà, Davide, Mattia, Christian, Coca…

Sono una mamma modello Penelope: ogni santa mattina ricomincio a tessere dall’inizio la tela delle nostre vite, in attesa di un suo passo verso una maggiore consapevolezza di se stessa e del mondo che la circonda .

Ogni minuto mi ripeto che per essere una brava mamma non è necessaria la perfezione, ma avere tanto amore da poter ricominciare ogni giorno.

Chissà se è vero…

penelope
Immagine tratta dal web

(1) Vampiro protagonista di “Twilight Saga” di Stephenie Meyer

Ariel · La mamma "autistica"

Dal cuore e dall’anima

Quando, sofferente, ti appoggi a me,
E mi guardi con gli occhi pieni di lacrime,
Il labbro che trema,
Le mani che stringono forte le mie:
Il tuo dolore è il mio
E se potessi
Te lo strapperei via,
Dal cuore e dall’anima.


Quando mi guardi sperando che io capisca,
Ma sono troppo limitata per andare oltre il tuo silenzio,
E vedo i tuoi occhi rassegnati intristirsi,
Le spalle  incurvarsi:
Il dolore è straziante
E se potessi
Mi strapperei via
Il cuore e l’anima.

Il mondo intorno a noi · La mamma "autistica"

La lettera

Ho trovato una lettera.

Passeggiavo per Trieste e a terra c’era questo foglio piegato in quattro parti.

Mi ha colpita la calligrafia adolescenziale.

L’ho raccolta, mi sono guardata in giro, ma non ho visto ragazzi nei paraggi: avrei voluto restituirla, ma intorno a me c’erano solo famiglie o persone anziane.

L’incipit era “Ciao Francesco (Tato)”. Sì, decisamente una lettera da sedicenne innamorata.

La tentazione di leggerla è stata davvero forte, ma l’ho lasciata sul cornicione del ponte, sperando che Tato, tornando sui suoi passi, la potesse ritrovare.

Le lettere sono parole del cuore, vanno tratte con cura, come murrine, rispettate come i segreti confidati da un amico.

Ho pensato a lungo a Tato e, suppongo, a Tata. Chissà quali sono i loro sogni, le loro speranze, i loro desideri. Fino a qualche giorno fa gli adolescenti di oggi mi sembravano strane creature perse nei loro mondi digitali, fragili da soli, arroganti in gruppo. Molto lontani da me, dalla mia vita.

Quella lettera, però, ha cambiato la mia prospettiva: nonostante siano passati quasi trent’anni, un foglio, strappato precipitosamente dal quadernone di italiano, raccoglie i sentimenti di una ragazzina innamorata. Ora come allora.
E quindi, forse, i suoi sogni non sono così diversi da quelli che facevo ad occhi aperti una vita fa: diplomarmi, lavorare, sposare il mio grande amore, famiglia, casa, viaggi…

Oggi i miei sogni sono completamente diversi e non dipende da quei tre decenni che separano Katy la secchiona da Katjuscia la mamma, dipendono dalla vita.

Ora sogno una scuola inclusiva, un mondo del lavoro che possa valorizzare le persone autistiche, un luogo accogliente e sicuro in cui lei possa sentirsi amata e protetta quando non ci sarò più.

Sogno di sentirla parlare, anche se la fiamma della speranza diviene sempre più flebile.

Ariel cresce, giorno dopo giorno, due passetti avanti, un piccolo passo indietro, ma sempre determinata, a volte ostinata.

Sicuramente da ragazzina non sognavo una plastificatrice A3 o un tablet vocale, la licenza di Symwriter e di frequentare un corso per professionisti per la gestione dei comportamenti problema.

La mia me sedicenne non avrebbe mai esultato trovando la Blue Diary nella cassetta delle lettere.

Sicuramente non avrei mai creduto di vedere gli occhi di mio padre riempirsi di lacrime davanti agli inutili sforzi della nipote di parlare.

A sedici anni tutto è possibile. A sedici anni ti senti invincibile e pensi che a te non succederà mai nulla di brutto. Pensi al futuro, ma dopodomani è troppo lontano e ieri è passato veloce come il vento tra le canne di bambù nello stagno dietro casa.

A quarantaquattro anni scoppi di gioia quando vedi tua figlia entrare a scuola sorridendo e ti commuovi ricevendo un messaggio della Maestra: ” Il sorriso di Ariel stamattina è la cosa più bella che ho visto nel 2020″ e ti senti grata per il momento di grazia che sta attraversando.

A quarantaquattro anni ti auguri che tuo figlio da grande abbia la forza di staccarsi dal suo ruolo di protettore della sorella per vivere la propria vita.

A quarantaquattro anni vorresti avere la pelle della sedicenne, il culo della ventenne, il fascino della trentenne, ma soprattutto il cuore della quarantenne prima che venisse stritolato dalla diagnosi.

Quello che salvo dei miei 44 anni (e mo’ lo metto in cifra perché mi sono rotta di digitarlo) è l’ironia e la voglia di sdrammatizzare: ecco quella non me la toglierà mai nessuno.

E oggi il bicchiere è mezzo pieno di tenerezza per una sedicenne innamorata e per una signora con la crisi di mezza età.

Cheers!