Il mondo intorno a noi

Accidenti al “venerdì nero”!

Rinchiusa in usa camera di ospedale, ti vedo correre da una parte all’altra della stanza. In televisione continuano a passare gli spot delle imperdibili promozioni del Black Friday, ma noi siamo rinchiuse da ormai 3 giorni. Ogni tanto ti infili le ciabatte, mi prendi per mano e mi conduci alla porta. Vuoi uscire, lo so! Te ne vuoi andare, ma non possiamo.

E’ difficile farti capire che lo stiamo facendo per il tuo bene, io stessa a volte mi chiedo se lo stiamo facendo veramente per te o per noi: la tua insondabile complessità ci spaventa e forse non siamo ancora pronti ad accettare la tua costante ricerca di libertà.

Ci caricano sull’ambulanza per andare a fare la risonanza. Non ho fatto nemmeno in tempo a mettermi le scarpe o a prendere un gioco per te.

La sala d’attesa è densa di persone, umori, suoni ed odori. Non c’è niente di più avverso per te. Non ne puoi più, per me è lo stesso. Mi sento prigioniera, rinchiusa tra queste quattro mura, mentre fuori il sole scalda la pelle, in un estremo tentativo di estate.

Ti getti a terra, urli, ti colpisci la testa furiosamente, strisci sul pavimento. Io provo ad alzarti, ma non ce la faccio più. Gli scontri tra di noi sono stati innumerevoli, ma, mentre tu ne esci sempre più arrabbiata ed aggressiva, io ne vengo lentamente consumata.

Finalmente ci vengono a chiamare: è passata un’ora e mezza da quando siamo scese. Hai lustrato tutti i pavimenti, toccato tutte le superfici, annusato tutti gli odori, la tua rabbia è un vulcano pronto ad eruttare.

Io firmo i consensi, voglio restare con te, ma papà non vuole. Mi rimanda da Davide. Povero Davide, è rimasto in sala d’attesa con la famiglia con cui dividiamo la camera da letto. Ha passato ore ed ore steso sulla poltrana della camera ad osservarci lottare con te. Sognava qualche gita ed, invece, dalla finestra della camera ha visto solo il campanile della chiesa dell’ospedale.

Tu sei fortunata ad avere un fratello così paziente ed affezionato. Sei fortunata ad avere amici e maestre che pensano talmente tanto a te da mandarti un video per sapere come stai. Quando l’ho visto mi sono messa a piangere. Era dolcissimo e mi ha fatto sentire meno sola: i tuoi amici che scrivono sulla lavagna il tuo nome; i tuoi amici che ti salutano; i tuoi amici che chiedono come stai… Tu sei fortunata, ma non te ne rendi conto. O forse sì? È difficile capirlo, in questi giorni più che mai…

Mentre nel cuore delle notte camminavamo nel parcheggio dell’ospedale, continuavo a pensare a quel video. Piangevo e mi ripetevo… “Siamo due derelitte senza speranza in pigiama e ciabatte che camminano al buio, in un ospedale deserto a 1200 km da casa e per cosa? I nostri amici, le persone che ci vogliono bene non sono qua con noi e io avrei tanto bisogno di un abbraccio.”

Ad un certo punto ti sei fermata e mi hai guardata come solo tu sai fare: di sbieco, ma dritto fino al nucleo del mio cuore; mi hai stretta forte alle gambe e poi hai ricominciato tirarmi verso l’uscita. In quel momento ho capito che non siamo senza speranza: la speranza c’è sempre, solo che a volte si nasconde. Ti ricordi quando Don Camillo viene esiliato nel paesino di montagna e non sente più la voce di Gesù finchè decide di torare a Brescello a prendere il Crocefisso? Mentre sale sul pendio innevato continua a parlare con Gesù e lui finalmente gli risponde:

“Non ho mai smesso di parlarti, ma tu non mi sentivi perché avevi le orecchie chiuse dall’orgoglio e dalla violenza”.

Ecco la mia speranza e la mia fiducia in te sono così: a volte vacillano, ma appena tu mi abbracci, tornano più forti che mai.

Finalmente ci dimettono. Festeggiamo anche noi il Black Friday: oltre all’inusule braccialetto arancione che ci ha donato il S.S.N., decidiamo di regalarci la visita al Teatro Greco e un caffè in un bar del centro. Attorno a noi, molte signore passano con le braccia piene di acquisti, ma noi siamo i più felici della città perché abbiamo sublimato il nostro venerdì nero con una perfetta lettera di dimissioni.

E il bicchiere è mezzo pieno di braccialetti arancioni e alberi carichi di frutta in un’estate che sembra non voler finire mai.

Ariel · Il mondo intorno a noi · La famiglia "autistica" · La mamma "autistica"

Le mie vacanze

Libera interpretazione di come Ariel ha vissuto un cammino fatto in nome dell’autismo

Cara Mamma,

le vacanze di quest’anno sono state molto strane. Non ho capito molto di quello che succedeva intorno a me. Ogni giorno andavamo in un posto diverso con tante persone con le maglie blu. Anche tu la indossavi. Anche papà. Anche quel tontolone di Davide. Pure io. Maglie blu ovunque. Un giorno ti ho sentita piangere ed urlare “Se vedo ancora una maglia blu, do i numeri!”… Secondo me li stavi già dando, ma andiamo per ordine.

Un pomeriggio papà ha portato a casa una strana auto: molto grande e molto lunga, dentro sembrava una casetta. Io ho subito scelto per noi due il letto in fondo: era alto, lo dovevo scalare per salirci, ma tu eri sempre pronta, dietro di me, a darmi una spintarella. Il nostro letto era piccolo, ma non piccolissimo, potevo tirare una tenda e chiudere il mondo fuori. Mi ricordava un po’ una tana: circondata dai cuscini e dal tuo abbraccio, mi sentivo protetta.

Il primo giorno ho chiesto un paio di volte il tablet, ma non me lo avete dato. Facevo tanta fatica a sopportare il caldo, voi che parlavate senza sosta, la luce che entrava dai finestrini. Mi sentivo bombardata da mille luci, suoni, colori, odori che non riuscivo a controllare. Ho portato pazienza, ho aspettato che mi diceste cosa sarebbe successo, ma non succedeva niente. Continuavamo a viaggiare con la nostra casetta e pensavo che avremmo continuato per sempre. Eppure in Fondazione vi hanno detto più volte che ho bisogno di sapere quello che succederà, che mi dovete organizzare bene la giornata, ma quel giorno… Eravate veramente strani… E intanto il rumore aumentava e la luce diventava sempre più forte… Quando finalmente vi siete fermati, ho guardato fuori e ho finalmente capito che mi stavate portando in spiaggia. Appena qualcuno ha aperto la porta, sono scappata fuori alla velocità della luce. Ero felicissima di essere arrivata. Mi sto ancora chiedendo perché tu sia scesa tutta scarmigliata, con il costume e le ciabatte in una mano ed il portafoglio nell’altra… Scusa se ti ho fatta arrabbiare: mica lo sapevo io che non eravamo arrivati e che quella spiaggia era a pagamento e che quindi bisognava prima passare dall’ufficio! Lo so, lo so: non devo scappare e non mi devo buttare a terra, ma avevo troppa paura che tu mi riportassi subito nella casetta. Dài, alla fine ci siamo divertiti anche se siamo stati pochissimo.

Dopo un altro lungo viaggio (o forse è sembrato lungo solo a me), papà ci ha lasciati nella casetta in un posto in cui non c’era nulla da vedere. Hai fatto la pasta, ma faceva così caldo là dentro che non avevo fame. Ho provato ad uscire un po’, ma ho visto che era solo un grande parcheggio di casette come la nostra. Senza alberi, senza giochi, solo alcune casette.

Quando è tornato, era stanco, sudato e parlava veloce. Non riuscivo proprio a capirlo. Ci siamo messi nuovamente in viaggio e siamo arrivati in un posto bellissimo: fuori c’erano delle bandiere con dei strani cerchi… Siamo entrati in una stanza in cui c’era molta gente. Troppa gente. No, mamma, mi dispiace, ma quello non era posto per me. Ci siamo guardate e tu hai capito subito cosa stavo per scatenare: l’inferno autistico in terra romagnola e così mi hai presa per mano e assieme a quell’impiastro di Davide siamo usciti. Siamo stati un po’ in piazza a cantare e a giocare finché quel rompiscatole non è voluto tornare da papà. Questi maschi… Noi siamo tornate nella nostra casetta. Sebbene fosse già tardi, faceva ancora tanto caldo e non avevamo nemmeno mangiato. Papà ha portato delle cose buonissime, ma io non mi sono fidata. C’era anche la pizza, ma tu lo sai che mi fido solo di te e della tua cucina. Così non ho mangiato e sono andata dritta a dormire. Avevo fame, ma la paura della fregatura era decisamente più forte.

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Incontro a Cattolica organizzato dall’Associazione “OMPHALOS”                  https://www.associazioneomphalos.org/ 

I giorni successivi si confondono della mia testa. Tanti luoghi, tante persone, tante maglie blu. Avevamo poco tempo, noi quattro, per divertirci. Se papà non guidava era in giro con i signori con le maglie blu. Per fortuna che ogni tanto riuscivamo ad andare un po’ in piscina: erano gli unici momenti in cui mi sembrava di essere in vacanza…

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Sono stati giorni strani, non ci ho capito granchè… Non era come quando andiamo in montagna: sveglia, colazione, camminata, pranzo, piscina, cena… No, qua si viaggiava tanto, si caricava e scaricava, si salutavano persone e poi si ripartiva. Altro paese, nuovo parcheggio per la casetta. Aspettare cantando con te e Davide. Aspettare guardando Jack che vuole fare Babbo Natale e che è tanto triste. Aspettare gironzolando fuori dalla casetta. Aspettare, aspettare, aspettare… Lo sai che io odio aspettare! Mi agito, ho sempre paura che non capiate che mi sto annoiando e allora inizio a piangere. Io non mi vorrei arrabbiare, preferirei dirti quello che voglio, come mi sento, ma a volte ho troppi pensieri che sbattono gli uni contro gli altri e a volte quelle stupide cartine in quello stupido quaderno che mi fate usare non sono quello che mi serve e io continuo a sfogliare all’infinito cercando qualcosa che non c’è… Come quel giorno quando ho visto te e Davide piangere abbracciati l’uno all’altra, cercando un conforto che vi avrei voluto dare, se sapessi come si fa, se ci fosse una cartina che dice “Non preoccupatevi, andrà tutto bene e saremo sempre insieme”.

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Jack Skeleton in “Nightmare Before Christmas” (Disney), uno dei cartoni animati preferiti da Ariel

Avete fatto tante promesse a me e quell’altro: che al ritorno ci saremmo fermati al parco giochi, che al ritorno saremmo andati al mare, che al ritorno lo avreste portato a mangiare in un ristorante bellissimo… Promesse, mille promesse per rendere la vacanza meno triste. Tante promesse per il ritorno, alcune per la vacanza. Una di queste era che saremmo andati a vedere i cavalli con cui giocano tanti bambini come me, ma non è mai successo. Ero troppo stanca e così è andato solo papà. Per fortuna ci ha raggiunti almeno per cena…

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Visita alle scuderie dell’Associazione “SPIRIT” di Gubbio  http://www.spiritgubbio.it/

Uno degli ultimi giorni eravamo nella casetta da ore. Faceva tanto caldo. Avevo tanto mal di testa e mi sono messa a piangere. Mi dispiace se ti ho mandata via e graffiata, ma stavo così male che non volevo essere toccata. Volevo solo andare in piscina e stare al fresco. Tu continuavi a correre dentro e fuori finché è arrivato papà e siamo partiti verso un altro paese, mentre si scatenava il temporale. Papà era arrabbiato, tu eri arrabbiata ed è stato allora che hai urlato: “Se vedo un’altra maglia blu, do i numeri!”. Io stavo sempre più male. Anche fare la doccia insieme non è servito. Lo so, lo so… Sono stata pestifera… Non dovevo buttare tutti i nostri vestiti e gli asciugamani a terra, ma c’era talmente tanta acqua nel bagno che mi è sembrato divertente. E lo ammetto: quando ho buttato a terra il tuo astuccio dei trucchi e si è rotto lo smalto argento, sono stata veramente pessima. Ma anche tu! Pensare di togliere lo smalto con le mani… Alla fine assomigliavi a quel signore buffo che ascolta papà, quello che canta “La terra dei cachi”.

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Elio e le Storie Tese a Sanremo (foto Ansa)

Il giorno dopo siamo arrivati in un posto bellissimo, dove c’erano tante persone. Abbiamo iniziato a fare una lunga salita. Io non volevo salire, faccio fatica: camminare sulle punte non è mica facile, sai? Per fortuna che un bambino grande e gentile mi ha aiutata a salire. Non lo avevo  mai visto prima, mi hai detto  che si chiama Alessio. Siamo diventati subito amici. Mi piace Alessio! Ti ricordi quando abbiamo usato insieme il mio computer a cena?

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Comunque, siamo arrivati in cima alla collina su una piazza bellissima. L’ultimo pezzo l’ho fatto in braccio a papà. Tu sei uscita da un negozio, trafelata come sempre, con la borsa sulla spalla, il portafoglio ed il telefono in una mano e 4 palline rosse nell’altra. Hai aperto una pallina e mi hai infilato una strana mantella di plastica rossa. Subito dopo si è alzato un vento terribile e le palline rosse hanno iniziato a rimbalzare ovunque. Sulla piazza, ormai deserta per il temporale imminente, eravate rimasti solo tu e Davide ad inseguire le palline rosse e un signore strabiliato che stava vicino ad una grande jeep scura con una strana pistola lunga lunga… Una delle palline è finità sotto la sua auto e sembrava un po’ arrabbiato. Chissà cosa pensava che fosse quella pallina! Subito dopo ha iniziato a piovere tantissimo e abbiamo cercato riparo in una chiesa bellissima dove un signore arrabbiato urlava in continuazione “SILENZIO!”. Mica lo sa lui che io non riesco a smettere di urlare quando sono eccitata! Ci provo, ma non riesco proprio…

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Piazza della Basilica Inferiore di san Francesco ad Assisi sferzata dal temporale

Tornando alla nostra casetta ci siamo bagnati tantissimo, ma per fortuna abbiamo pranzato in un posto bellissimo: c’erano delle belle camere nuove e un lungo corridoio per correre. Ho sentito papà che diceva che in quel posto lavorano tanti ragazzi come me! Chissà se da grande potrò lavorare anch’io in un posto così. Mi piacerebbe!

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Rollup de “LA SEMENTE” di Spello (PG), organizzazione no profit con centro polifunzionale in cui vengono sviluppati aspetti socio sanitari di impresa sociale e di approccio sistemico al territorio    http://www.lasemente.it/

Di quel pomeriggio non ho ricordi… So solo che ero tanto stanca e che papà era arrabbiato perché non riusciva a trovare un parcheggio per la casetta. Tu eri sparita e mentre giravamo con la casetta, mi sono addormentata.

Mi ricordo, invece, che quella sera abbiamo cenato con Alessio, Fabio e Giuliano e i loro genitori. E’ stato bello stare  tutti insieme, ma solo per un po’… quando sono stanca voglio stare con te al buio e cercare di dirti che ti voglio bene. Un giorno ci riuscirò, sai?

Dopo quel lungo giorno siamo stati solo noi quattro. Tutti i signori con le magliette blu erano spariti. Eravamo più tranquilli, siamo anche stati in un parco bellissimo dove c’erano tante giostre e ho capito che prima o poi avreste mantenuto tutte le promesse che ci avevate fatto.

 

Oramai sono passati 2 mesi dalla fine delle nostre vacanze, ma ogni tanto penso ancora a quei giorni. Soprattutto quando vedo magliette blu e ho una paura matta che tu ti possa arrabbiare di nuovo.

Cara Mamma,

ti voglio dire un’ultima cosa: sono state vacanze strane, abbiamo fatto tanta fatica, non ho capito molto di quello che mi succedeva intorno, ma oggi più che mai so che siamo una bella famiglia. Abbiamo sopportato tutto questo piangendo, ridendo, urlando, ma oggi quando ne parli sorridi. Brava, mamma, sono orgogliosa di te: un po’ alla volta ti stai rendendo conto che la mia filosofia del bicchiere mezzo pieno funziona anche per te.

E quindi mamma, oggi il mio bicchiere è pieno di ricordi gialli e blu ai quali, prima o poi, penseremo solo con dolcezza e senza dolore.

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Ariel · Il mondo intorno a noi · La mamma "autistica"

Vecchie fotografie di una vita passata

Vecchie fotografie a colori di una vita passata, le scorro una ad una con il sorriso sulle labbra. Sorrido e piango: il tuo ciuffo rosso sugli occhi; i capelli che diventano biondi; lo sguardo sempre intenso.

Sono ricordi di attimi felici che facevano sognare una vita che non c’è mai stata. Tu e Davide complici, il vostro papà che sorride… Il papà ormai non sorride quasi più e a me manca tanto la spensieratezza dei primi mesi insieme quando sembrava che tutto sarebbe stato perfetto per sempre. In quei giorni lontani ho fatto in tempo a sognare il tuo matrimonio, i tuoi figli, la tua carriera.

Tu saresti potuta essere quello che io non sono mai stata.
Sei bella, saresti stata la ragazzina più corteggiata della scuola.
Quando stai bene, sei così divertente che tutti ti avrebbero voluta al loro compleanno, perché la tua presenza è avvolgente come un abbraccio.
Sei così intelligente che avresti potuto essere avvocato, ingegnere o medico, come il tuo papà, ma soprattutto la più brava mamma del mondo. Già, mia cara, per fare la mamma ci vuole molta intelligenza e molto amore, bisogna sapere dosare dolcezza, severità, capacità di interpretazione ed introspezione. E’ un lavoro difficile e faticoso, ma è anche il più bello del mondo.

Io nelle foto non ci sono, preferivo guardare il mondo da dietro l’obbiettivo. L’ho sempre fatto. I miei amici vivevano la loro adolescenza e io li guardavo, spettatrice silenziosa e spesso incompresa. A volte le persone non si ricordano com’ero da bambina o adolescente, non avevo la tua personalità travolgente.

Sono ancora introspettiva, in certi momenti tendo alla malinconia, ma per te mi faccio forza e trovo la sfrontatezza di chiedere e lottare per ogni tuo diritto, di parlare e raccontare delle tue, delle nostre difficoltà, affinché l’autismo non faccia paura. Il mondo deve sapere che, dietro alle tue urla furiose nel parcheggio della scuola, c’è un labirinto inesplorato di gioia, paura, rabbia e solitudine in cui, giorno dopo giorno, mi cerco di orientare per ritrovare il cuore della tua sostanza.

Adesso ho imparato: la vita non chiede il permesso, la vita si prende il meglio senza autorizzazione, senza preavviso. E’ una signora imprevedibile e capricciosa, a volte generosa, a volte estremamente avara, ma io non ho più paura di lei: ora la guardo dritta in faccia e lotto strenuamente con lei per riportare da me la tua vera essenza che l’autismo nasconde fra le sue inafferrabili pieghe.

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La mamma "autistica"

Le mie rughe

Stamattina mi guardavo allo specchio e ho notato un aumento di rughe, pardon, di “segni d’espressione” esponenziale. Aveva ragione Davide a dire che la crema antirughe non funziona bene…

Ovviamente non mi piacciono, preferirei avere la pelle liscia come una ventenne, ma siamo realistici: gli anni avanzano e con essi le preoccupazioni. A 43 primavere suonate con le trombe bitonali, sarebbe utopistico sognare di essere levigata come una sedicenne, a meno che tu non ti chiami Valeria (Mazza), in tal caso tutto ti è concesso. Però diciamoci la verità: è lei l’aliena! Io sono una donna normale, dove per normale intendo fisicamente nella media, perché del mio stato di salute mentale potremmo parlare per giorni.

Prima della diagnosi di Ariel non avevo rughe, pardon, segni d’espressione, i capelli erano biondi ed ero in perfetta forma fisica.

Dopo la diagnosi, nell’arco di pochi mesi i capelli divennero quasi completamente bianchi: espressione concreta di un dolore che mi lacerava l’anima. Qualche tempo dopo, nonostante avessi accettato l’autismo, in maniera molto egoistica, non riuscivo a liberarmi del desiderio di sentirmi chiamare “mamma” da Ariel. Era più forte di me, la voglia di sentire quella parola mi bruciava dentro. Volevo con tutto il cuore che lei potesse comunicare al mondo i suoi stati d’animo, i malesseri, i sogni e le paure. Feci quindi un voto alla Madonna di Castelmonte: se Ariel avesse parlato, non mi sarei più fatta la tinta, avrei lasciato che il mondo vedesse i miei capelli cambiati dal dolore. Ariel non parla e io lascerò testamento che nella bara mi mettano un flacone di tintura biondo. Lo so, lo so: le terapie riabilitano, i miracoli non esistono e se non può parlare ci sono altri modi per comunicare. So tutte queste cose, ma una madre che ha appena avuto una diagnosi è pronta a tutto. Anche a lasciarsi i capelli bianchi per amore della figlia.

Da qualche mese ho preso con me 4 sgraditi “amici” che, trovandosi bene con la mia Nutella, si sono posizionati sui fianchi. Maledetti, mai che facciano i radical chic e decidano di spostarsi sulle tette! Fino ad ora non avevo grosse motivazioni per liberarmi di loro. Fino ad ora.

Ad agosto dovremo togliere ad Ariel tutti gli aggeggi elettronici con cui si sollazza e so già che sarà una vera battaglia, uno scontro fisico senza precedenti. Lei ha una forza incredibile, io no. Ma sono determinata. Sarà dura, una vera disintossicazione, come togliere l’eroina ad un tossico, ma io vincerò questa battaglia. L’autismo non può avere la meglio su mia figlia. Io non glielo permetterò.

Spesso parlo con mamme che sono state morse, pizzicate, picchiate. Ariel, come una gatta selvaggia, graffia.

La mia preoccupazione principale? Lei crescerà e diventerà sempre più forte. Io invecchierò e diventerò sempre più debole.

E quindi andrò in palestra, inizierò a correre, farò gli esercizi la sera (non il plank), mangerò più sano e saluterò i 4 infami invasori e diventerò più forte sia fisicamente che mentalmente.

Ho capito però che alle mie rughe, pardon, segni d’espressione proprio come la Magnani, sono affezionata: sono l’espressione di un percorso iniziato 5 anni fa. Il mio viso, i graffi sulle braccia, i capelli bianchi, l’aumento di peso sono le rappresentazioni di come il dolore ha agito su questa mamma. Eliminerò i chili di troppo ed i capelli bianchi con la stessa tenacia con cui lotto contro l’isolamento in cui si nasconde Ariel.

Le rughe – e basta! Chiamiamo le cose con il loro nome tanto la sostanza non cambia! – Le rughe dicevo, invece, le combatterò, ma con affetto: ogni giorno mi guarderò allo specchio e contandole penserò a quanta strada abbiamo fatto io e la Princess e a quanta ne  faremo ancora insieme. Sempre insieme.IMG_3037

 

 

 

Il mondo intorno a noi

Autismo, percorso di vita

Una sala d’attesa, 2 divani rossi, quattro persone: una mamma spaesata ed una bambina piccola agitata, nervosa; una mamma tranquilla con una lunga treccia ed un ragazzone tranquillo, di poche parole.

Katy ed Ariel.

Rita ed Alessio.

Ariel allora aveva 3 anni, Alessio era già un ragazzone sebbene avesse solo 12 anni.

Quando Alessio ed Ariel entravano in seduta, si giravano a salutarci e poi restavamo noi due. Abbiamo passato molti mercoledì a parlare insieme su quei divani rossi, Rita ed io. Una di fronte all’altra, fisicamente e metaforicamente. Il confronto di due vite, i destini dei figli che ci accomunano. Rita aveva molta più esperienza di me, sapeva molte più cose di me, mamma sprovveduta che cercava ancora di capire cosa fosse meglio per la figlia. Fino all’anno precedente nemmeno sapevo cosa fosse veramente l’autismo e quando l’ho scoperto, non avevo nessuno a cui chiedere un consiglio, non sapevo come muovermi tra le attività pratiche che la disabilità porta con se e l’uragano di emozioni che tuonava dentro di me.

Fortuna che c’erano le chiacchierate con Rita.

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Gli anni sono passati, gli orari delle terapie sono cambiate e quindi non ci vediamo più, ma penso sempre alla sua calma, alla sua dolcezza.

Il marito di Rita, Valentino, ha deciso di intraprendere un pellegrinaggio da San Vito al Tagliamento ad Assisi. 410 km. A piedi. Tra fine luglio ed inizio agosto.

Un pazzo? Un eroe? No, semplicemente il padre di un ragazzo che vuole far conoscere l’autismo a chi non sa cosa sia e trovare dei confronti con le associazioni che incontrerà lungo il percorso.

Luca è il Presidente dell’Associazione Noi Uniti per l’Autismo Pordenone di cui Valentino e Rita sono associati, Valentino è addirittura nel Direttivo.

Noi Apollonio abbiamo deciso di seguire Valentino lungo il suo viaggio con un camper. Non per il ruolo istituzionale di Luca, ma per reale appoggio ad un progetto che tanto può dare a tutti coloro che incontreranno Valentino.

Io proverò a fare alcuni pezzi di strada con lui per fargli compagnia, ma non sono allenata. Mi sa che inizierò a vedere i santi e le madonne ben prima dell’arrivo ad Assisi.

Ma questo percorso di vita, l’autismo, è molto più faticoso. E’ una maratona che dura una vita. Quella dei nostri ragazzi.

E quindi… Avanti tutta.

Per Alessio, per Ariel, per tutte le persone con autismo.

Per tutti i genitori ed i fratelli che vivono con l’autismo quotidianamente.

Per tutti i genitori che ogni giorno, seduti su un divano rosso, non sanno da che parte iniziare a tenere insieme i pezzi di quella vita che gli si sta sgretolando tra le mani come tanti pezzi di cristallo.

Gli aggiornamenti in tempo reale sul viaggio di Valentino, potranno essere seguiti dalla sua pagina Facebook “AUTISMO PERCORSO DI VITA”, dalla pagina Facebook “NOI UNITI PER L’AUTISMO PORDENONE” o dal mio blog.

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La mamma "autistica"

Perfettamente imperfetta

Sono perfettamente imperfetta.

Ogni mia sfumatura ha una piccola o grande deviazione che mi allontana dalla perfezione.

Se fossi un vizio capitale, sarei sicuramente l’accidia: mollemente adagiata sul divano, moderna Paolina Borghese, potrei passare le giornate a guardare serie crime mangiando gelato.

Ho un fisico scolpito dalla Nutella che combatto saltellando: nel senso che faccio salturiamente ginnastica. Al mattino. Quando nessuno mi vede. Perché sono aggraziata come una cimice.

Sono campionessa olimpionica di sbadataggine tratto che ho inequivocabilmente trasmesso a Davide (accidenti al DNA!).

Mio marito mi definisce più o meno pubblicamente “scassaaminchia”, ma almeno in questo caso mi sento la coscienza pulita: io sono femmina e lui maschio, i nostri cervelli sono biologicamente incompatibili e quindi è perfettamente naturale che il mio tono di voce salga man mano che mi ritrovo costretta a ripetere le stesse cose più volte. Per la pace familiare preferisco pensare che sia sordo piuttosto che disinteressato.

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Sempre secondo quel signore barbuto con cui divido casa, sono la donna più permalosa del mondo affermazione dalla quale prendo le distanze: non sono permalosa, sono altamente reattiva alle critiche, soprattutto se le reputo immeritate.

Non riesco mai a raggiungere un obiettivo come l’ero immaginato: c’è sempre una piccola ombra che vela il risultato, un “ma” in agguato, un “però” traditore che mi aspettano al largo delle mie illusioni.

Il mio ottimismo non è innato: è il frutto di lunghe rielaborazioni notturne, di una razionalità che subentra al dolore o all’ira più divoranti, al desiderio di trovare giustificazioni a comportamenti o situazioni che spesso non ne hanno. Il mio “bicchiere mezzo pieno” è un modo di proteggere il presente ed il futuro dal passato.

Ho un ascendente focoso (lo si intuisce anche dalla folta chioma), tratto caratteriale che si rivela nell’ira che mi brucia e divora se vengono attaccati i miei affetti: sento la pressione che sale, il cuore che accellera e se potessi sbranerei l’incauto essere che ha osato oltrepassare il limite. Simba

Salvo poi, da brava Pesci, entrare in conflitto con me stessa:

“Forse ho esagerato!”

“No, non ho esagerato, anzi!”

“Ma magari ci è rimasto male…”

“E chissenefrega!”

I miei monologhi interiori sono tutti pensati su fogli a righe con i bordi tracciati a matita, con periodi ipotetici perfettamente formulati, adeguato uso delle lettere maiuscole, punteggiatura corretta ed abbondante uso di punti esclamativi: espressioni  autistiche di un cervello tendente al bipolarismo e salvato solo dalla dose industriale di zucchero raffinato che ogni giorno ingurgito per tenere alti i livelli di serotonina.

Cerco di essere sempre educata, ma a volte mi sento una voce gialla, al limone, che non mi piace perché trasmette una tensione che vorrei tenere solo per me e che mette il mondo in posizione di difesa. Ecco a volte soffre pure di sinestesia: abbino colori a voci, suoni… In fondo sono sempre la madre di mia figlia e il suo cervello  abilmente diverso deve pur arrivare da qualche parte, no? (Accidenti al DNA!)

Potrei continuare a descrivere i miei difetti per ore, ne ho veramente tanti a fronte di pochissimi pregi. Fra questi, due: la sincerità ed il senso di giustizia.

Non sono mai stata una goliarda, non mi diverto a fare scherzi, sono per il vivi e lascia vivere, ma se mi chiedi un’opinione, avrai sempre una risposta sincera, più o meno diplomatica, ma vera, onesta.

Ho un altissimo senso della giustizia, sono una novella Giovanna d’Arco che, brandendo la mia spada di rettitudine morale, devo dare un ordine corretto e giusto al mondo che mi circonda. Non sopporto i soprusi, non li posso tollerare soprattutto quando sono rivolti a persone più deboli, figurarsi se poi attaccano uno dei miei figli!

Tutto questo per dire cosa? Boh, me lo sono dimenticato. Ah, ecco un altro difetto… Invecchiando sto diventando una smemorata degna della pesciolina Dory, tranne che per i torti subiti: per quelli ho una memoria da Collonnello Hathi.

Sì, avete capito benissmo, a casa Apollonio i cartoni Disney vanno alla grande.

E il bicchiere oggi è mezzo pieno di difetti e animali antropomorfi, spesso più umani di una vecchia “signora” che non rispetta la disabilità e alla quale non auguro male, ma solo di non venire mai in contatto con il mio ascendente focoso, perché, come ho già detto ai suoi parenti, la prossima volta che attacca Ariel, le tiro un pugno sul naso. Ma questa è un’altra storia.

ADE ROSSO

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Ariel · Il mondo intorno a noi · La mamma "autistica"

La Pappagalla

Carissimi “signori” (la “s” minuscola è voluta!) che oggi avete detto che Ariel ha la voce di un pappagallo,

avete ragione: la Princess è una stupenda pappagallina blu circondata dall’affetto della sua famiglia autistica.

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Negli ultimi anni mi sono fatta portavoce di Ariel e dei suoi colleghi “blu”, avendo sempre fiducia nella capacità di comprensione delle persone, credendo che la conoscenza generi gentilezza.

Oggi no. Oggi non accetto una cattiveria gratuita del genere da parte di persone che potrebbero essere i nonni di Ariel.

Se vi avessi trovati, vi avrei detto tutto questo, vi avrei spiegato le difficoltà che Ariel incontra ogni giorno della sua vita, del senso di vergogna e timidezza con cui sussurra “COCA” o “TE”, consapevole di avere una voce arrugginita. La voce da “pappagallo” è la voce della rabbia, dell’eccitazione, della frustrazione. E’ vero, ha la voce da pappagallo, ma un cuore coraggioso e grande, pieno di amore.

Voi non vi siete resi conto di aver ferito il fratello ed il cugino di Ariel che vi hanno sentito ripetutamente darle del pappagallo.

Non vi siete nemmeno resi conto di essere estremamente fortunati per tutta una serie di motivi:

  1. Visto il vostro comportamento ignobile, deduco che viviate nella più beata ignoranza e che non sappiate nulla di autismo. Siete fortunati a non essere parte di una famiglia autistica, ma lo sono decisamente di più i vostri nipoti “non autistici”: nessuno di merita tanto la disabilità quanto due nonni completamente privi di empatia;
  2. Ariel non si scompone di fronte alla stupidità umana che, ahimè, è in continua espansione, altrimenti vi avrebbe dato ulteriore prova della sua voce di “pappagallo” con un bell’urlo nei timpani;
  3. Davide e Mattia sono ancora piccoli per reagire: vi sfido a tornare tra un paio di anni e a ripetere le stesse cose che avete detto oggi e a uscirne tutti interi;
  4. Ma soprattutto, siete fortunati perché io non ero presente e quando vi sono venuta a cercare, eravate già andati via. Perché se vi avessi trovati non solo vi avrei detto tutto questo, ma vi avrei sbranati vivi. Perché Ariel è una pappagallina, ma la mamma è una leonessa.

E il bicchiere oggi è mezzo pieno di camomilla. Non serve che ve ne spieghi le ragioni, vero?

leonessa

Ariel · Il mondo intorno a noi · La mamma "autistica"

Tornando a casa

Stiamo rientrando dal torneo serale di calcio di Davide. Io ed Ariel, sole. Davide arriverà più tardi. Lei nervosa, io stanca.

Mentre guido lentamente lungo la stretta strada di campagna tutta curve, ascolto “Il conforto” di  Tiziano Ferro. Mi piace questa canzone: è un’ottima compagna di viaggio quando sono così stanca. Mi fa sentire malinconica, ma allo stesso tempo serena.

Finestrino abbassato, aria fresca, silenzio rotto solo dal suono del motore e dalla musica, ma… Ad ogni ritornello sento uno strano rumore… boh… penso: “Strani questi bassi… ritmati, ma strani…”
Sono pronta a lanciarmi a gola spiegata nel pezzo in cui ultimamente mi riconosco di più…
“Sarà la pioggia d’estate
O Dio che ci guarda dall’alto
Sarà che non esci da mesi sei stanco
Hai finito e respiri soltanto…”, quando sento nuovamente lo strano basso. E no! Mi fermo: non esiste che il settaggio dell’autoradio mi rovini questo momento. E finalmente capisco: non è l’autoradio. Non sono i bassi in rivolta. È Ariel che con la cannuccia sta aspirando le ultime gocce di Coca Cola dalla lattina. A ritmo di musica.

E niente… anche oggi il bicchiere è mezzo pieno: di cannucce lilla e Coca bevuta a ritmo di Tiziano Ferro. ❤️

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