Ariel

Perché?

Se sento ancora una volta “Jack… Jaaaack, I’ve got the plans for the next Halloween!”*, tiro una testata al muro (Ariel docet) e mi autoinfliggo un trauma cranico.

Acting out** come se non ci fosse un domani, ma sono consapevole che Ariel mi manderebbe in estinzione in tempo zero.

In questi giorni guardo le sue ginocchia dalle mille sfumature di marrone, viola, giallo, blu e mi pongo una sola domanda: “PERCHÉ?”

Anche lei ha diritto a stare bene fisicamente e mentalmente, ad essere serena.

Invece i suoi interessi, pochi e assorbenti, si trasformano in ossessioni che sfociano presto in crisi autolesionistiche, non appena qualcosa, che solo lei conosce e sa, non va come si aspetta.

Cerco di fare in modo che non si faccia troppo male, uso me stessa come un cuscino, assorbo tutta la sua sofferenza che diventa quindi anche mia e mi chiedo quale sarà il suo futuro.

Tempo fa una ragazza autistica mi diede delle mamma pancina e mi disse di stare zitta, poiché io non sono autistica e non posso capire il loro dolore.

Oggi le dico: “Cara Signorina, è vero io non sono Ariel, non conosco il suo dolore, ma conosco il dolore di una madre che vede la figlia devastarsi il corpo di ematomi e graffi ed è la cosa più dolorosa del mondo: più della separazione, più della cicatrice sulla gamba, più delle due fratture del capitello radiale, più del parto di Davide.”

Quello di Ariel no, quello è stato facile.

Mai avrei immaginato che quella creatura nata con la camicia avrebbe sofferto così tanto nella sua vita.

E intanto continuo a chiedermi: PERCHÉ?


* “Nightmare Before Christmas” di Tim Burton

** Acting out: azioni aggressive e impulsive utilizzate dall’individuo per esprimere vissuti conflittuali e inesprimibili attraverso la parola e comunicabili solo attraverso l’agito.

La famiglia "autistica"

Tra le lenzuola di flanella

La cosa più difficile della felicità è saperla riconoscere.

A volte mi sfiora e, quando me ne accorgo, ormai è già ieri.

Ho però una certezza: l’appuntamento delle 21 quando mi riscopro felice tra le lenzuola di flanella e il piumino Ikea.

Tutte le sere i miei tre amori mi aspettano per il saluto della buonanotte, un po’ di chiacchiere e tante coccole.

Mi godo, quindi, grata quello che da dodici anni è il momento più bello della giornata quando vengo schiacciata, abbracciata, inscatolata, amata.

Infinitamente amata.

La mamma "autistica"

Un morso di felicità

Quando i bambini sono con il padre, la mia mente vola e spesso i luoghi che frequenta non sono quelli che vorrei.

Così stamattina ho ripensato con grande sofferenza all’anno appena concluso e chiuso definitivamente i conti con gli ultimi dodici, densi, pesanti 12 mesi.

Ho preso un foglio, ovviamente a righe con i margini, e ho scritto tutte le cose brutte che sono successe in quel miserabile anno che è stato il 2021 e l’ho bruciato nel caminetto, acceso in attesa dell’arrivo dei miei ragazzi.

Poi mi sono seduta qua sul divano con il portatile e ho deciso di seguire il consiglio di Hemingway:

“Ora non è il momento di pensare a quello che non hai. Pensa a quello che puoi fare con quello che hai.”[1]

e ho iniziato a elencare le cose che mi hanno aiutata ad andare avanti giorno dopo giorno:

La prima vacanza del nuovo triangolo famigliare;

Ariel che dice per la prima volta “mamma”;

Davide che dà prova di grande forza di carattere rimanendo il ragazzino dolce di sempre;

Baloo che mi fa compagnia notte dopo notte;

Il primo viaggio di Ariel con lo scuolabus;

La gentilezza di uno sconosciuto in cassa al supermercato;

La mia famiglia che, nel momento più buio, mi è stata vicina e accolto la mia richiesta di non intervenire in alcun modo;

Una nuova amica che ha sempre una seggiolina pronta per Ariel;

Amiche che portano sempre pasticcini e parole di confronto ché il conforto da solo a volte non basta;

Amiche del passato che, nonostante la vita le abbia messe duramente alla prova, non si spezzano mai e mi aiutano a capire che insieme ce la possiamo fare;

Amiche lontane che il cuore sente vicine, che mi conoscono più di quanto io stessa sia disposta ad ammettere, che mi fanno arrivare sciarpe che abbracciano, tazze con messaggi tutt’altro che subliminali e un kit, acqua compresa, per fare il miglior caffè del mondo, in attesa di prenderne uno insieme al tavolo 22 del Gambrinus;

La mia panchina al mare;

I libri letti e, soprattutto, quelli ancora da leggere;

La consapevolezza che, nonostante tutto, mi basto e che valgo più di quanto qualcuno pensa, anche se meno di quanto vorrei;

Un nuovo inizio pieno di incognite, ma stimolante come la primavera che arriverà presto.

Festeggiamo il Capodanno come gli antichi Romani i quali il Primo gennaio onoravano Giano, il dio bifronte che con una faccia guarda il passato, con l’altra il futuro.

In questa seconda giornata di un nuovo anno, voglio prendere la speranza rimasta sul fondo del vaso scoperchiato da Pandora nel 2021 e guardare avanti, perché il passato è maestro, ma il futuro è vita.

Ora vi saluto, perché sono finalmente arrivati i miei portatori di amore e gioia e ho bisogno di un loro abbraccio e di un morso di serenità, la stessa che auguro a tutti voi e che troppo spesso viene sottovalutata da chi è alla ricerca della felicità e che, invece, è molto ambita da chi, come me, agogna ad un cielo privo di nubi.

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[1] Ernest Hemingway, Il vecchio e il mare