All’improvviso si alza un vento freddo e violento. Il cielo diventa nero e nuvole dense di pioggia si avvicinano veloci, troppo veloci. Un attimo e l’acquazzone mi si rovescia addosso. Non cerco rifugio, non mi interessa. Sono persa nei miei pensieri: il futuro dei miei bambini è ormai un chiodo fisso che si muove rapido nel mio labirinto mentale.
Risalgo lentamente il ponte di legno che sovrasta lo stagno circondato da salici piangenti. Con lo sguardo cerco le anatre che di solito stazionano sul pontile: sono al riparo sotto un albero.
La pioggia si fa più violenta. Un fulmine violaceo si riflette nello specchio d’acqua butterato da milioni di fredde lacrime celesti Avanzo a testa bassa quando sento un richiamo determinato: è una mamma che ordina ai suoi piccoli di muoversi. “Piove, accidenti! Volete mettervi al riparo, piccoli testoni?”
I figli sono poco più avanti rispetto a me, li sento brontolare il loro disappunto: “Accidenti , mamma! Avevamo appena iniziato a divertirci! Sempre sul più bello…”
“Basta! Ora scendete altrimenti salgo io!”
Finalmente vedo le tre piccole pesti. Avanzano in fila indiana, protestando, ma sapendo che non c’è margine di trattativa: la mamma è davvero arrabbiata, senti come strepita!
Uno alla volta si posizionano e, con estrema grazia, saltano giù dritti nello stagno e si mettono in fila dietro alla mamma che li porta al riparo, non senza un ultimo rimbrotto: “Qua! Qua! Piccoli miei, siete davvero pestiferi: non si sta in acqua quando c’è il temporale! Qua! Qua!”
La famigliola si mette finalmente al sicuro sotto un salice piangente.
Zuppa come i miei amici anatroccoli, vado a recuperare Ariel a terapia: sono in abbondante anticipo, ma voglio essere lì a quando lei uscirà dalla seduta.
Aspettare, accudire, proteggere, educare, amare, lasciar andare sono i verbi che pulsano nel cuore di una mamma: non importa che tu sia sapiens o anatra, E figl so’ piezz‘ ‘e còre. Sempre e comunque.