La osservo dormire con le braccia rilassate sopra la testa, memoria di mille notti passate e di sogni infranti.
Quando sta bene, dorme così: indipendente.
Quando sta male, mi si stringe forte e se mi sposto anche solo un po’, si sveglia e mi cerca con lo sguardo preoccupato.
Più cresce e più dorme stretta a me.
Mi chiedo se possa essere colpa mia, se la consapevolezza di se stessa inizi a renderla triste: il cognitivo cresce, la disprassia frena, il linguaggio ricettivo vola, il linguaggio produttivo blocca. La dissonanza tra ciò che potrebbe fare e ciò che riesce a fare la incattivisce. Credo che, se potesse parlare, le sue parolacce riempirebbero le mura di questa casa ai confini del paese. Invece si morde e graffia, sbatte la testa contro il muro e in quei momenti io non posso fare altro che usare la mia mano come cuscinetto e aspettare che passi la frustrazione, accogliendo il suo dolore dentro di me.
Chi dice che i bambini come Ariel non hanno consapevolezza e che noi genitori siamo più fortunati degli altri con figli senza disabilità intellettiva, non sa cosa sta dicendo: è peggio un malessere manifestato e narrato direttamente o una depressione subdola che si infila tra le pieghe della vita di tuo figlio e che tu devi intuire? Una volta per tutte: basta con il gioco a chi sta peggio! Poco importa se è neurotipico o neuroatipico, con o senza disabilità intellettiva: il dolore di un figlio strazia sempre e comunque l’anima di un genitore.
In questi anni i miei sogni per la vita di Ariel sono mutati mille volte, in un continuo gioco al ribasso, fino al rialzo finale: voglio che sia serena. Non felice, serena. Non mi interessa più ciò che avrei voluto, voglio solo ciò che vuole lei. E che sia soddisfatta della sua vita.
La vita insegna, è una grande maestra. La memoria è lo strumento che la supporta: ci aiuta a mettere a fuoco il passato, a vedere quanta strada abbiamo fatto, a vedere i nostri errori e, si spera, a evitare di ripeterli.
90 anni fa una bambina come Ariel avrebbe avuto una diagnosi di “idiozia”[1] e un altro tipo di pigiama a righe: tutti noi abbiamo il dovere di ricordare che i disabili[2]furono i primi a venire sterminati dal nazismo e fare in modo che questo non accada mai più.
Usiamo la memoria, impariamo dal passato per costruire un mondo migliore per la nostra famiglia, ma anche per chi verrà dopo di noi e dovrà raccogliere il testimone di civiltà (o inciviltà) che gli lasceremo.

Mi emozioni sempre.
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