
Quello che non riesco ancora a fare

Fino a questo momento, ho cercato di combatterti negando che tu esistessi, e questa cosa mi ha quasi ucciso, ma se voglio guarire, se voglio cominciare a stare meglio, io devo accettarti.
La luce filtra dalle saracinesche abbassate, stesa su un fianco, faccio le coccole a Baloo che sta finalmente dormendo dopo la lunga notte di sorveglianza.
Jack Malone sta cercando l’ennesima persona scomparsa senza lasciare traccia, quando sento dei piccoli passi pesanti accompagnati da un lamento rabbioso. “Oggi si è svegliata male, sarà una lunga giornata”, penso.
Dopo pochi istanti la vedo arrivare, i capelli scarmigliati, gli occhi ancora assonnati. Fa spostare Baloo, si stende al suo posto, prende il mio braccio e si fa stringere in un abbraccio.
Borbottando “ccoe”, esige grattini sull’avambraccio e io l’accontento volentieri.
Si muove un po’ e mi scruta con quello sguardo laterale che amo alla follia. Un secco “Ncoa!!”
“Vuoi ANCORA COCCOLE?” scandisco lentamente.
“SCi!”
“Allora ripeti con me… VOGLIO ANCORA COCCOLE!”
““Ncoa… CCoe!!”
L’accontento, dandole tanti baciotti sul naso, sul collo, sulle guance da bambina che stanno lentamente lasciando il posto a zigomi alti da ragazzina.
Sta crescendo, la Princess, le gambe sono lunghe e snelle, il viso e le mani sono più sottili, ma la sua voglia di baci ed abbracci è immutata.
Mi stringe forte a sé, mi alza leggermente il viso e appoggia la fronte nell’incavo del mio collo: ci incastriamo ancora perfettamente, nonostante sia cresciuta tanto in questo ultimi mesi.
Tra un bacio e una carezza, il suo umore sta lentamente migliorando e inizia sorridere: adoro il suo sorriso storto a denti spettinati!
Mi prende la mano e intrecciamo le nostre dita, mentre lei cambia canale: Rai Yoyo, il suo preferito.
“Ccoe”
“Va bene, ANCORA COCCOLE.”
Ricomincio a sbaciucchiarla, mentre un pensiero nero si fa largo in questo momento di serenità: chi la bacerà, chi le accarezzerà i capelli sottili quando non ci sarò più? Chi le farà passare il malumore con le coccole quando sarò solo un ricordo?
La stringo forte e la bacio, mentre una solitaria lacrima densa di dolore scivola lenta.
Ci penso e ci ripenso. Cerco di richiamare immagini alla mia mente, ma niente.
Il vuoto più totale.
Nella mia mente c’è stato un black out lungo diciotto mesi.
Un anno e mezzo di ricordi annullato, un anno e mezzo di vita cancellato.
Non ricordo Ariel, non ricordo Davide.
Non so come stavo: non so se ero triste, rabbiosa, apatica.
Non so cosa facevo durante il giorno, non so dove trovavo la forza per scendere dal letto e affrontare le mille attività del quotidiano. Io non so nulla tranne che, nonostante tutto, la mia vita è andata comunque avanti, sebbene non me la ricordi.
La mia unica certezza è che la deflagrazione della diagnosi di Ariel ha cambiato la mia vita per sempre. In pochi mesi i capelli sono diventati completamente grigi.
La mia vita ha uno spartiacque tagliente come un bisturi, duro come il diamante, profondo come la Fossa delle Marianne.
So di avere acquistato molti libri sull’autismo in quei giorni e di averli dolorosamente letti tutti. Lo so perché le pagine sono tutte ondulate: le lacrime versate le hanno irrimediabilmente rovinate.
Un po’ alla volta sono riemersa dal mio dolore, ho iniziato a rimboccarmi le maniche, a cercare le terapie migliori per Ariel.
Quando era piccola speravo nel miracolo del linguaggio. Ora sogno la sua voce: una Ariel vocale mi viene spesso a trovare in sogno, ha una voce gialla, arrugginita, ma a suo modo perfetta.
Sono consapevole che lei non parlerà mai e devo sviluppare la sua comunicazione: devo darle la possibilità di esprimere i suoi bisogni, i suoi sogni. Una bambina di 8 anni ha ormai un vissuto importante alle spalle e non voglio credere, non posso accettare che tutto il suo mondo sia rinchiuso in un quadernetto ad anelli con venti immagini. I suoi silenzi inducono a sottovalutare la sua comprensione e la sua intelligenza e questo dovrebbe mortificare noi, non lei!
Crescendo, le preoccupazioni cambieranno con lei: noi genitori dovremo affrontare la scelta della scuola secondaria, sperare in un fantomatico, ma assai improbabile inserimento nel mondo del lavoro e costruire qualcosa di organizzato e funzionale per quando non ci saremo più.
La vita di un genitore “autistico” è scandita da diverse fasi: il buio della diagnosi, la forza della consapevolezza dell’infanzia quanto tutto sembra possibile trovando i giusti terapisti, le preoccupazioni dell’adolescenza, la serenità della giovinezza dell’adulto quando il percorso è consolidato ed infine i dubbi paralizzanti del “dopo di noi”. Chi si occuperà di lei? È giusto che lo faccia Davide? Ci sono centri adatti al suo accoglimento? Le notizie di cronaca riportano spesso abusi sui nostri ragazzi ed ogni volta è una ferita al cuore dell’intera comunità autistica.
I genitori delle persone autistiche sono stanchi, soffrono spesso di depressione o solitudine e i loro pensieri sono costantemente incentrati sulla loro creatura, mentre gli altri figli crescono troppo in fretta.
Le famiglie hanno bisogno di sostegno e supporto per TUTTA la vita di una persona autistica.
Le iniziative per aiutare queste persone devono coinvolgere i portatori di interesse ed essere realmente inclusive.
Come aiutare queste famiglie?
Sono solo una mamma, ma nell’arco degli anni mi sono fatta alcune idee:
Un punto mi sta particolarmente cuore ed è il rispetto per le famiglie con persone autistiche. È di questi giorni la notizia di una famiglia che “ha deciso di abbandonare il figlio autistico di 11 anni”. Ho sentito e letto commenti di ogni genere, ma nessuno ha il diritto di giudicare il dolore di una famiglia spezzata. Ognuno affronta le difficoltà e il dolore per il proprio vissuto e per la propria forza morale, nonché per le risorse messe a disposizione dai singoli membri di una famiglia e dalla società. Un abbraccio consola e sostiene, un dito puntato contro distrugge e annichilisce. Una famiglia che “abbandona” un figlio di 11 anni è un fallimento per tutti noi. Per me, per te, per noi. Tutti abbiamo fallito.
Dal canto mio ora sono più consapevole, accetto la condizione di mia figlia, ma continuo a sognare Ariel che parla: so che al saluto finale sarà la sua voce gialla che sentirò come ultima cosa.