La solitudine di una famiglia con un figlio disabile è roba forte che solo pochi riescono a guardare in faccia.
Più facile girarsi dall’altra parte e usarla come termometro del proprio benessere.
Non compatiteci: la pietà di taluni sguardi è discriminante tanto quanto il fastidio o la paura ed è anche subdola, poiché inconsapevole e permeata da un senso di perbenismo difficile da scalfire.
La solitudine rosicchia l’anima giorno dopo giorno e alla fine lascia dietro di sé famiglie stremate dalla fatica e dalla consapevolezza che domani quella creatura tanto amata, protetta, accudita verrà considerata solo un peso sociale, ridotta ad una diagnosi , spersonalizzata di tutte le sue qualità, inquadrata nei propri deficit.
Dateci la possibilità di farvi conoscere i nostri figli e capirete che sono molto di più quanto possiate immaginare.
Avete mai invitato uno di noi a prendere un caffè? Ma non in un ipotetico domani, adesso, subito ché il dolore è impaziente, non aspetta che voi siate liberi da impegni.
Non cambiate strada quando ci incontrate: possiamo essere faticosi, noiosi, pesanti, monotematici, ma quelle quattro chiacchiere scambiate con voi potrebbero essere le nostre uniche interazioni con adulti senzienti della giornata.
Mi commuove chi ha il coraggio di porgerci la domanda più difficile del mondo:
“COME STAI?”
Difficile per chi la rivolge, poiché è una domanda aperta, subdola che potrebbe avere mille risvolti tra i quali una slavina di lagna o un mare di dolore; difficile per noi che la riceviamo che, non conoscendo il reale interesse alla nostra risposta, spesso non abbiamo il coraggio di dire la verità. Così, sorridendo, ci rifugiamo in un asintomatico “Bene, dài!”, la tristezza negli occhi celata dagli occhiali scuri.
Ma fatela questa domanda!
Mal che vada perderete cinque minuti ad ascoltare un genitore sfiancato dalla routine (tanto difficilmente abbiamo più tempo a disposizione), ma potreste alleviare un po’ la nostra fatica, perché condividere un peso, anche per solo qualche metro, rende la vita meno pesante, anche a noi che a qualcuno piace pensare dotati di superpoteri. In questa ottica possiamo affrontare tutto più facilmente: la fatica è meno fatica, il dolore è meno dolore, gli obiettivi raggiunti dai nostri figli sono merito nostro (invece sono merito soprattutto loro, noi possiamo solo supportare, non sostituirci a loro) e sicuramente meno faticosi che se conquistati con le sole umane forze.
E invece vi voglio svelare un segreto.
Non abbiamo superpoteri, siamo solo genitori, ma con il potere umano più forte del mondo: l’amore per i nostri figli.
Sono certa della buonafede di molti e che esprimere taluni complimenti sia un modo per farci sentire apprezzati e importanti, ma noi non vogliamo nulla di tutto questo.
Noi vogliamo un mondo migliore per i nostri figli. Un mondo in cui non ci sia bisogno di una parola come “inclusività” affinché possano vivere vite degne al pari dei loro coetanei e in cui vengano apprezzati per loro stessi e non per ciò che una società buonista li vorrebbe: buoni e bravi, angeli mandati in terra per redimere un mondo brutto e cattivo. Se verranno trattati da persone e non da diagnosi, quando arriverà il momento potremo morire sereni, fino ad allora il loro futuro sarà sempre la maggiore fonte di dolore e preoccupazione.
Cosa vorrei trovare per la mia famiglia sotto l’albero di Natale?
Una lattina di serenità, un pacchetto di riposo, un barattolo di comprensione e una spolverata di felicità.
Per me, invece, un cappuccino con le amiche, non importa se in tazza o in bicchiere di vetro, se caldo o tiepido, con o senza cacao. Un semplice cappuccino, beatamente seduta fronte porta, senza dover costantemente monitorare tutte le possibili vie di fuga di una Principessa stratega dell’evasione silenziosa. Un cappuccino e due bustine di zucchero, perché la vita sa già essere sufficientemente amara da sé.

Come stai?
Ti seguo da mesi e il tuo blog mi aiuta più di quanto tu possa immaginare. Grazie.
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Ciao, scusa, come vedi ho pubblicato alcuni articoli e poi molto colpevolmente non li ho seguiti: il 2021 è stato un anno difficile conclusosi con un dicembre degno dei precedenti 11 mesi. Ora va meglio. Tu? Come stai?
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Mi dispiace per l’anno complicato che hai dovuto passare. Non ti preoccupare se non hai seguito le risposte, hai la tua vita piuttosto piena, e so di non essere un perfetto nessuno dietro ad una tastiera, quindi tranquilla ^_^
Grazie solo per tutto quello che fai e che scrivi.
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Non è così: non sei un perfetto nessuno. Puoi essere una persona che non ho mai incontrato, forse un perfetto sconosciuto, ma non un “perfetto nessuno”. Non sminuirti, tu non sei “nessuno”, sei TU e io ti sono davvero grata per ogni singolo commento.
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