Con aria paternalistica sostengono che Creatore non dia mai un peso maggiore di quanto una persona possa sopportare”.
Sono velocissimi a dispensare consigli che, oltre a non essere richiesti, spesso sono pure errati, perché, quando si parla di condizioni come quelle di Ariel, non si può tirare ad indovinare, bisogna muoversi con destrezza e attenzione, onde evitare precedenti deleteri che poi dovranno essere estinti con molta fatica e togliendo risorse che potrebbero essere dedicate ad altro.
Ci guardano con fastidio o paura quando la Princess fa le sue stereotipie, ma le lacrime, siano di rabbia o di frustrazione, scendono solo davanti allo sguardo pietoso di chi ci usa come parametro per consolidare la propria convinzione di avere una vita (illusoriamente) perfetta in una casa immacolata e di avere figli che gli piace pensare privi di umani difetti.
Lo so, è facile soffermarsi sulle mancanze di Ariel, più difficile vedere la ragazzina affettuosa che, nonostante tutte le difficoltà, sta sbocciando in una meravigliosa creatura: una tenace rosa di dicembre che nemmeno il freddo e i rovi riescono a piegare.
Lei insegna al mondo che la perfezione non sta in un funzionamento neurotipico, bensì in un abbraccio spontaneo, in una carezza leggera, in un bacio senza schiocco e in due occhi cerulei che guardano alla sostanza delle persone.
Ariel è priva di pregiudizi, accoglie nella sua vita solo chi le trasmette sincero affetto, perché le interessa chi siamo e non ciò che vorremmo che gli altri vedessero di noi.
Dal canto mio, penso che siamo meravigliosi in tutta la nostra imperfezione di esseri umani: se i pregi ci avvicinano all’eccellenza, è la sommatoria dei nostri difetti a renderci unici.
