STOCK! STOCK! STOCK!
Il viso trasfigurato dal dolore, con le mani copre le orecchie e tira violente testate al muro.
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“Basta, ti prego, basta! Ariel cosa succede?”, le chiedo sapendo che non avrò una risposta. Metto la mano sinistra dietro alla sua nuca come cuscinetto protettivo e mi siedo di fianco a lei cercando di capire cosa sta succedendo: da pochi mesi so che è autistica, ho già letto diversi libri e articoli sull’argomento e li scansiono tutti con la mente. Temple Grandin, Hilde De Clercqe, Jim Sinclair, Oliver Sacks, Donna Williams… Cos’è? Cos’è? Perché fa così? Non è mai successo prima…
Ripenso alla diagnosi, ai deficit riportati in tabella, alle descrizioni che ho letto dell’autismo, sono tutte più o meno simili. Niente, non riesco a capire.
Intanto le sue urla sono diventate più forti e le testate più frequenti.
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La mano mi fa malissimo, ma non posso toglierla, poiché rischia di spaccarsi la testa.
Sono disarmata dal suo dolore, dalla sua impossibilità di comunicare la fonte del disagio.
Davide è annichilito sul divano, non ha mai visto la sorella così, gli occhi cinesi sono sbarrati dalla paura e mi continua a chiedere: “Mamma, che cos’ha Alielel?”
Non gli so rispondere con precisione: sicuramente sta male, ma perché?
Cerco di mettermi nei panni della piccola: so che processiamo le informazioni in maniera diversa, non ha senso cercare una spiegazione che sia logica per me, devo capire cosa sta pensando e provando lei.
Sgombero la mente da tutti i pensieri e mi guardo in giro. Cosa è successo poco fa? Cosa ha acceso la miccia di questa esplosione?
La luce del pomeriggio entra prepotente dalla portafinestra tanto che devo strizzare ripetutamente gli occhi, la lavatrice sta centrifugando il bucato, il frigorifero in cucina ronza e in televisione sta passando Peppa Pig in inglese!
Ho capito!, mi dico. – Peppa Pig in inglese la fa arrabbiare tantissimo, perché le voci sono diverse dalla versione italiana. Le voci… I suoni… Le luci!
Adesso ho veramente capito: metto Ariel in sicurezza sul divano di fianco al suo atterrito fratello maggiore, spengo la tv, stacco la spina alla lavatrice (la riaccenderò stanotte, mentre Ariel dormirà nel suo lettino al piano superiore) e chiudo le porte della lavanderia e della cucina. Resta il problema della luce che filtra dalla portafinestra: devo oscurarla subito, non ho tempo di andare ad acquistare una tenda. Ariel sta male adesso e io devo aiutarla.
Pensa, Katy, pensa!
Corro nel ripostiglio, prendo la carta regalo e il nastro adesivo, salgo sulla sedia e oscuro il vetro con la carta: la stanza entra in una morbida penombra. MacGiver sarebbe orgoglioso di me!
Mi siedo sul divano,
prendo Ariel in braccio,
mi guarda con gli occhioni azzurri pieni di lacrime,
e tutto quello che riesco a dirle è:
“Mi dispiace! Non succederà più! Ora so quello che devo fare…”
Purtroppo non ho mantenuto la mia promessa: l’ipersensorialità è un vero problema per Ariel, poiché i suoi sensi sono estremamente recettivi.
Mangia solo le mezze penne della De Cecco con il tonno Rio Mare mantecato nel burro. Se cambio marca di pasta o tonno, non le mangia. Se non faccio mantecare il tonno nel burro non le mangia. Le guarda, le annusa e scosta il piatto. Se insisto un po’, mette una pasta in bocca, la passa in bocca e poi la sputa: percepisce la consistenza diversa del tonno, le dimensioni della pasta, forse la scanalatura più o meno accentuate delle altre marche la destabilizza…
Non indossa abiti in raso, poiché quel tessuto liscio la infastidisce al tatto, del tulle non parliamo! Quando le scelsi l’abito da damigella, le feci toccare tutti i vestiti che ci venivano proposti e provò solo quello che non la fece sobbalzare.
È terrorizzata dagli asciugamani elettrici, tanto da entrare nei bagni pubblici già con le mani sulle orecchie, e l’eccesso di decibel l’ha fatta letteralmente scappare dalle due feste di compleanno a cui l’ho portata prima di capire che non stavo facendo il suo bene assecondando la mia urgenza di socializzare con altri adulti. Il suo benessere è decisamente più importante della mia voglia di gossip.
Porta sempre gli occhiali da sole perché il sole la infastidisce da morire e io la capisco perfettamente, perché per me è la stessa cosa, spesso li indosso anche in luoghi chiusi. Un paio di anni fa, al ritorno della visita oculistica, era fuori controllo: era andata con Luca che entrando in casa mi disse che non sapeva più che pesci pigliare con lei. Ariel era stata estremamente aggressiva, si era graffiata le braccia ed il viso, sporcando di sangue tutto l’ambulatorio. La guardai e gli chiesi: “Le hanno messo le gocce?”. Alla sua risposta affermativa, le feci indossare subito i miei occhiali da sole, quelli con le lenti scurissime. Si spense come un fiammifero in mezzo alla bora. Ad un Luca stupefatto dissi solo: “Quando vado dall’oculista e mi mette le gocce, tra le pupille dilatate e la vista sfocata, sbatterei la testa contro il muro…”
Molte persone possono rispondere in maniera iper- o iposensoriale ad alcuni stimoli: oltre ad essere fotosensibile, io, ad esempio, evito di passare davanti ai negozi di una famosa catena di saponi, poiché gli effluvi che ne escono mi fanno stare malissimo; non tocco le pesche, perché la loro buccia mi fa venire i brividi; da piccola odiavo i maglioni di lana che mi prudevano da morire e se passo davanti ad una latteria, svengo o vomito o forse tutte e due. Sono molto sensibile alle voci alle quali spesso associo colori: le voci basse e roche mi calmano, quelle stridule mi infastidiscono.
Io, però, a differenza di Ariel recepisco una minore intensità di stimoli tanto da riuscire a controllare il mio “fastidio”, posso adottare strategie per diminuirne gli effetti o comunicare il mio disagio per cercare aiuto. Lei, invece, non riesce a gestire da sola l’eccesso di informazioni sensoriali e spesso arriva il sovraccarico, un vero e proprio corto circuito che la paralizza tra dolore e rabbia, che la spaventa e la lascia senza forze.
I sensi ci aiutano a interagire con il mondo, ma se vanno in crisi, siamo vulnerabili, poiché privi di riferimenti. Un sovraccarico sensoriale può essere considerato una bomba ad orologeria in soggetti che non sono in grado di comunicare e autodeterminarsi: già, perché se io non voglio passare davanti ad una latteria, la evito, ma Ariel non può decidere i percorsi da fare a meno che io non sappia cosa la infastidisce e decida di fare un’altra strada. Da anni ormai mi annoto le sue reazioni nei diversi contesti e ne faccio tesoro per la volta successiva, ma spesso è l’imprevedibile sommatoria delle variabili a scatenare il putiferio dei suoi sensi. Basta un piccolo malessere e i neon delle gallerie, le luci che si riflettono sui pavimenti lucidi, i maxi schermi del cinema, il rumore delle scale mobili e il suo centro commerciale preferito in cui è stata milioni di volte e che le piace molto, diventa il centro di un finimondo.
L’altro giorno due persone, mentre Ariel stava avendo un sovraccarico al supermercato, hanno borbottato sdegnate:
“Se fosse mia, avrebbe già preso uno sculaccione, così avrebbe un valido motivo per piangere!”
Questo comportamento che non solo non ha aiutato né me né Ariel, ma ha ulteriormente appesantito la situazione; gli unici che ne hanno tratto giovamento sono stati quei due che hanno avuto la discutibile soddisfazione personale di sentirsi grandi educatori.
E quindi?
Quindi…
Se vedete un bambino che piange, si tappa gli occhi o le orecchie, sbatte la testa o si dà pugni, e una persona adulta che cerca di proteggerlo da se stesso, forse sta facendo un capriccio, ma più verosimilmente sta avendo un sovraccarico sensoriale.
Se ne siete infastiditi, andate avanti senza mai guardarvi indietro, le brutture del mondo non sono adatte ai vostri occhietti delicati.
Se, invece, siete preoccupati per quelle due creature in evidente difficoltà, fate loro un sorriso e chiedete all’accompagnatore se ha bisogno di aiuto. Molto probabilmente vi dirà di no, ma si sentirà meno solo, non giudicato da chi probabilmente non capisce il dolore che stanno provando e per un piccolo, prezioso istante avrà ancora fiducia nel genere umano.
Ovviamente quanto sopra vale anche quando ciò succede ad una persona autistica adulta in difficoltà, anche se, come mi fece notare qualche tempo fa la mamma di un ragazzo autistico:
“Con Ariel non avrai problemi, perché sarà così grave che tutti capiranno che ha problemi.”
Beata ignoranza! Se è palese a tutti, anche a coloro che non conoscono l’autismo, che una persona adulta che urla e si picchia ha quantomeno “qualche problema”, è altrettanto vero che può essere spaventoso a vedersi e che, quindi, ciaone!, l’aiuto da terze parti sarà ancora minore; non ultimo, il giudizio negativo sulla “strana coppia” verrà sostituito da sterile compassione (intesa nell’accezione negativa di pietismo) che, ve lo assicuro, nessuno di noi, genitori e figli, vuole.
Ora vi starete chiedendo: e noi cosa c’entriamo in tutto questo?
Niente e tutto: quei momenti in cui Ariel sta male, sono completamente concentrata su di lei, ma ho tutti i sensi di ragno allertati (Spiderman fatti in là) per prevenire ulteriori complicazioni alla situazione e mi accorgo di tutto quello che succede attorno a noi, anche dei commenti ignoranti di chi non ha alcuna consapevolezza sull’autismo. Se avessi tempo e non fossi concentrata su Ariel, spiegherei a chi mi circonda i segnali da riconoscere per capire che non è un capriccio e terrei un sermone tipo la “Parabola del buon passante empatico e di quello che non lo è, ma si fa i cazzi suoi”. Invece, sciocca io!, preferisco badare a mia figlia e quindi voi vi curate uno dei post più lunghi e barbosi della storia.
E siccome mi sono già dilungata a sufficienza, in calce troverete alcuni link di video che spiegano cos’è il sovraccarico sensoriale e come le persone autistiche lo vivono.
Guardateli e diffondete il verbo!
In verità, in verità vi dico: la prossima volta che qualcuno si rivolgerà così a mia figlia, prima si beccherà un vaffanculo e poi il “Sermone del Reparto Ortofrutta”.
Neuropeculiar: https://youtu.be/yGlIFx5J5rw
Bradipi in Antartide: https://youtu.be/rx6F9HLzEMQ
Portale Autismo: https://www.portale-autismo.it/sovraccarico-sensoriale/
P.S.: la sera in cui oscurai il soggiorno con la carta da regalo, Luca appena rientrato dal lavoro, mi chiese cosa ci facesse Babbo Natale attaccato alla nostra portafinestra a giugno. Gli raccontai l’accaduto e promisi che avrei comprato presto una tenda per sostituire la carta natalizia… In realtà rimase lì finché divenne coerente con il calendario… Un po’ come Pino, insomma, perché il lupo perde il pelo, ma io non perdo il vizio.

Mi dispiace davvero molto per quei commenti ricevuti al supermercato.
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Succede spesso: a volte riesco a fare finta di niente, a volte, invece, mi sale il crimine e vorrei spaccare tutto. Questa volta ho preferito scrivere, la prossima chi lo sa…
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Io forse (forse!) sono troppo rigida, ma penso che chi non intuisce che le persone possono avere momenti, assolutamente legittimi, di insofferenza (la ragione e i dettagli che ci stanno dietro non hanno importanza), che la sofferenza non è capriccio, siano – letteralmente – dei disabili emotivi.
Non c’è bisogno di aver avuto chissà quali esperienze in prima persona per empatizzare il tanto che basta a capire che qualcuno, bambino o adulto, sta in qualche modo male. E, se magari non ce la si sente di aiutarlo, almeno comprenderlo.
Insomma: non sono le persone “sensibili”, acute, particolarmente intuitive ad essere eccezionali ed avere una marcia in più. Sono quelle che non capiscono e borbottano e criticano, ad averne una (o anche due) in meno.
Per loro non ho né scusanti né pietà.
Mi hai fatto venire in mente quando, uscita di casa per allontanarmi da mia madre che mi stava facendo impazzire, sono stata sgamata da una cugina mentre randellavo l’ombrello a terra, sfasciandolo.
E non stavo nemmeno sbattendo la testa al muro, solo un ombrello: pensa che autocontrollo! 😉
Ovviamente, mi ha guardata come fossi pazza ed apostrofata come ogni signora perbene di questo mondo, che assiste ad uno scandalo… si può anche morire dentro, ma sfogarsi, piangere o liberare la rabbia proprio no. Non è chic!
Grazie a te e ad Ariel per come vi raccontate ❤
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Concordo: chi non prova empatia è un disabile emotivo e chi non capisce che uno sfogo è meglio di una depressione ha grossi problemi di valutazione dell’emotività. Un forte abbraccio e grazie per averci letto 🙂
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Non è barboso, anzi è molto interessante, sai descrivere bene dei momenti drammatici, in modo che chi legge si sente coinvolto e capisce, senza esserne eccessivamente travolto.
Mi hai fatto ricordare un commento scritto da una madre di un ragazzo con autismo ad alto funzionamento, in cui raccontava che era tanti anni che prendeva varie pillole e psicofarmaci per evitare delle crisi per cui sbatteva la testa contro il muro.
E si hai ragione, è così difficile distinguere i ”capricci” dalle crisi incontrollabili, bisognerebbe sempre astenersi dal giudicare, e dal renderete la vita altrui più difficile di quella che già è.
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I giudizi, anche quando sono corretti, non aiutano chi sta sbagliando. Per aiutare qualcuno non si deve fare la prescrizione del sintomo, bensì spiegare l’errore nelle modalità più accettabile dalla controparte affinché esso venga compreso e accettato come un modo per migliorare. Guardare con sufficienza un genitore il cui bambino fa i capricci, non lo aiuta. Guardare con disprezzo un genitore il cui bambino sta avendo un sovraccarico o un meltdown, non solo non aiuta, ma ferisce nel profondo dell’anima.
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