Il mondo intorno a noi

Maria

Maria ha i capelli sottili come quelli di un neonato, la fronte alta, le sopracciglia sottili.

È un po’ sorda e per parlare con lei bisogna urlare molto. Parla in dialetto stretto, sa l’italiano ma non lo usa volentieri: è la lingua delle Istituzioni, per gli affetti usa solo il friulano, la marilenghe (*) che ha imparato dalla madre e dalla nonna tanti anni fa. Non ha mai conosciuto il padre, morto nella Campagna di Russia quando lei era ancora molto piccola.

Le cannule nasali per l’ossigeno sono un po’ storte: le danno fastidio e ogni tanto le sistema con la mano macchiata dall’età. La mascherina chirurgica è del medesimo colore della camicia da notte che indossa.

Ha paura, si sente sola e sente la mancanza di figli e nipoti che non vede dal giorno del ricovero.

È entrata in ospedale tre giorni fa perché si sentiva male, molto male: febbre, dolori muscolari e uno strano incarnato giallastro che peggiorava di minuto in minuto.

Stefano, il figlio, ha chiamato subito il 112 temendo si trattasse del nuovo virus che ha paralizzato il mondo e gli hanno detto di portare immediatamente la madre in ospedale. Da quando ha parlato con l’operatore, queste parole gli rimbombano in testa: “Il COVID-19 non dà ittero: potrebbe essere altro.”

Stefano l’ha accompagnata in Pronto Soccorso e da allora Maria è sola: tamponi, eco, prelievi, tac.

La buona notizia è che non è COVID-19, la cattiva è che si tratta di epatite.

I figli sono in ansia per lei, vorrebbero vederla, ma i protocolli non lo consentono: solo i parenti dei pazienti terminali possono accedere al reparto e Maria, tutto sommato, sta ancora bene.

Stefano chiede ai Sanitari notizie della madre: stabile, tranquilla, sente la vostra mancanza.

“Lo so che non si potrebbe, ma mi potete inviare un suo video così mi rendo conto di come sta?”

I Sanitari si guardano negli occhi e lentamente annuiscono: al posto di Stefano anche loro vorrebbero vedere con i propri occhi.

“Preferisce una video-chiamata?”

“Mi organizzo per domani, ma se stasera mi poteste inviare il video, mi togliereste davvero un peso dal cuore…”

Così i Sanitari vanno da Maria e urlando le spiegano cosa sta per succedere, la sollevano un po’, le riavviano i capelli e le sistemano le cannule.

Maria cerca di sorridere nel video, ma la voce le trema, è emozionata: non si era mai fatto riprendere prima. Agita la mano nodosa davanti allo schermo, li rassicura sullo stato di salute, “Mi sento come a casa”, chiede come stanno i bambini, se stanno dando da mangiare alle galline e se hanno piantato i cetrioli. Confessa “Ho un po’ di paura…”

Un ultimo saluto con la mano aperta, un’inquadratura sghemba e poi il nero della fine del video.

L’ultima cosa che si sente, è la voce rotta dal pianto di uno dei Sanitari che le fa i complimenti: “Brava, Maria! Adesso Stefano sarà tranquillo e domani vi potrete vedere nel telefono.”

Maria ha un improvviso peggioramento e muore durante la notte con il solo conforto dei Sanitari: uno di loro le ha stretto la mano per tutto il tempo.

Per Maria non ci saranno più videochiamate, non ci saranno più compleanni, non ci saranno più galline da accudire e nipoti da viziare; niente più figli da abbracciare, niente cetrioli da piantare; nie tombule cu lis amîs lì dal plevan(**). Possiamo solo sperare che non avesse troppa paura quando ha chiuso gli occhi per l’ultima volta.

Quel video girato con mano tremante da chi ama l’Essere Umano oltre che il proprio lavoro, sarà l’ultimo, prezioso ricordo che Stefano avrà della sua amata mamma. Lo salverà sul computer e lo vedrà e rivedrà ogni volta che ne sentirà la mancanza.

La storia di “Maria” e “Stefano” è vera, i nomi e i dettagli no: “Maria” è morta da sola, in un letto di ospedale per una patologia diversa dal Covid-19.

I Sanitari che hanno fatto il video sono perseguibili penalmente, poiché per lo Stato Italiano hanno violato la privacy di “Maria” e della sua famiglia, sebbene avessero ricevuto l’autorizzazione di “Stefano”.

Queste persone hanno il mio personale plauso: ci sono momenti in cui la prosocialità è più forte delle leggi create dall’uomo e ognuno di noi, ora più che mai, deve dimostrare chi è veramente.

Io provo amore per “Maria” e “Stefano”, per i Sanitari che hanno seguito il loro cuore e per tutti coloro che in questo momento sono straziati dal dolore della perdita.

Tutto il resto è poca cosa. Almeno nel mio piccolo mondo fatto di amore ed emozioni.

(*) friulano, trad. lingua madre

(**) friulano, trad.: niente più tombola con le amiche in canonica

Foto dal web
Il mondo intorno a noi

Cose da maschi e da femmine

(Come ci ha ridotti il lockdown)

 

Risate sguaiate.

Crasse risate provengono dalla cucina.

Stupita, butto dentro la testa e trovo Luca e Davide che guardano qualcosa al microscopio e si sganasciano.

 

“Embè?”

“Mamma, è bellissimo!”

“Immagino… Cosa state analizzando?”

“Una craccola di Baloo.”

“Una che…”

“Una craccola degli occhi di Baloo.”

 

Me ne vado a testa bassa, spalle curve e un pensiero sconsolato: questa è decisamente una cosa da maschi.

 

Entro in bagno e trovo Ariel che si guarda allo specchio, mentre fa la sua “faccia da selfie”.  Ok, questa è decisamente una cosa da femmine.

 

Nel mentre i due “scienziati” hanno finito e Davide è sul divano con il mio telefono. Sta chiacchierando con qualcuno. Lo lascio tranquillo e vado a sistemare la cucina, finché lo sento dire: “Sei proprio inutile e davvero poco intelligente…”

 

Cosa?! Come si permette quel decenne irrispettoso!

 

“DAVIDEE!! Con chi stai parlando?”

“Con Google. Gli ho chiesto una canzone di Bugo e mi ha proposto i Modà!”

 

Bugo…

 

“LUCAA!! Hai fatto ascoltare Bugo a Davide?”

“Solo un paio di canzoni… Quelle che ascoltavamo insieme anni fa… ‘Pasta al burro’… e ‘Casalingo’… forse ‘Io mi rompo i coglioni’, ma non ne sono sicuro…”

 

Ok, questa è una cosa troppo da maschi per il mio sensibile cuore da mamma.

 

Torno in bagno e caccio Ariel che sta ancora davanti allo specchio (mi sta diventando troppo femmina tutta d’un colpo!).

 

Mi guardo allo specchio e non posso non notare la ricrescita degna di Crudelia Demon…

 

Ok, dietro al cipiglio di mamma e moglie, c’è ancora una donna con un minimo di amor proprio: è ora di fare la tinta.

 

Prendo il tubetto del colore, l’ossigeno, la ciotolina ed il pennello, ma ho paura, troppa paura di ritrovarmi con una capigliatura animalier o camuflage: non ho mai fatto la tinta da sola e se sbaglio qualcosa?

 

Dovrei chiedere aiuto a quei tre che mi girano per casa, ma non mi fido di nessuno di loro: se Baloo avesse il pollice opponibile, chiederei aiuto a lui, in fondo è quello che ha il vello più simile al mio… tra ricci ci si capisce…

 

Idea!

 

Chiederò aiuto a Google! Mi preparo tutto il discorsetto come faccio sempre quando sono agitata:

 

“Ciao, scusa per prima, mio figlio è un gran maleducato… Google, mi troveresti un tutorial per fare la tinta da sola?”

 

Comincio: “Ciao,…”

 

Mi propone la canzone di Lucio Dalla.

 

Ok, non lo saluto… “Scusa per prima,…”

 

Google traduttore: “Excuse for before”…

 

Mmh… Ok, niente convenevoli né scuse… Si vede che è uno spiccio di modi… “Mio figlio è un gran maleducato,…”

 

Risponde con un articolo: “Caro genitore, se tuo figlio è maleducato, è colpa tua!”

 

Brutto zozzone di un impunito, come ti permetti di parlare così di mio figlio?! “Vaffanculo!”

 

Rimbecca con un video di Marco Masini…

 

“Sei un essere inutile!”

 

“Per questo sono fortunato ad avere incontrato qualcuno che mi possa rendere migliore.”

 

Eh, no! Il sarcasmo, no! “E non fare il sarcastico!”

“Ci sto lavorando!”

“Non ci devi lavorare! Devi essere più educato!”

“Ai  miei programmatori dispiacerà saperlo…”

“Ti disintegro!”

“…”

“…”

 

Come sto messa… Sono rinchiusa da così tanto tempo che pur di parlare con qualcuno esterno alla famiglia, litigo con un assistente virtuale.

 

“Scusa, Google, hai ragione tu: se mio figlio è maleducato, è colpa mia, ma tu sei davvero supponente.”

“Non ho capito, mi dispiace.”

“Sei un po’ maleducato.”

“Scusa, mi spiace molto se ti ho offesa.”

“Grazie, accetto le tue scuse. Spero che tu accetterai le mie. Scusa”

“Non fa niente.”

“Grazie.”

“Di niente, siamo una squadra!” (con tanto di emoji!)

 

Bene, pace è fatta, ma ho ancora la tinta da fare e nessuna voglia di ricominciare a litigare con Google per trovare un tutorial…

 

“Baloooo? Dove sei! Ho bisogno di te!  Mi aiuti con la tinta?”

 

google

Ariel · Davide

Il peso delle parole

Le parole sono importanti.

Si dice persone autistiche o autistici.

Tutte le altre definizioni sono sbagliate o poco rispettose della loro condizione.

“Persone affette da autismo”, “persone con autismo”, “persone che soffrono di autismo” sono espressioni che potrebbero ledere la loro dignità: l’autismo è una neurodiversità, non una malattia e nemmeno un dispositivo medico-chirurgico da portare con sé, come una stampella.

Davide si sente solo e anche Ariel.

Davide può telefonare agli amici, Ariel non può farlo.

Davide mi racconta la sua ansia e la fatica di questi giorni, Ariel non può farlo.

Davide non mi chiede più di andare dai nonni, perché sa che non si può; Ariel si siede in automobile e aspetta, perché non capisce questa situazione.

Davide e Ariel soffrono di solitudine.

Davide è neurotipico, Ariel è autistica: ognuno di loro fronteggia la situazione con le proprie risorse personali.

Ariel non soffre di autismo, soffre di solitudine: l’autismo e i molteplici deficit che in Ariel si associano ad esso le impediscono di capire la situazione e di chiedere aiuto, sicuramente rendono la sua vita difficile, a tratti dolorosa, ora più che mai, ma non è malata.

Ariel è autistica e soffre di solitudine.

Il mondo intorno a noi · La mamma "autistica"

Fiori

Silenzio.

Dalla finestra aperta non arriva alcun rumore, solo il cinguettio degli uccellini che si sono da poco trasferiti sul cedro del Libano e il latrare di un cane che abbaia in lontananza.

Io, seduta al tavolo della cucina, piango.

Piango per i miei bambini che sognano di tornare a scuola per rivedere compagni ed insegnanti, di andare in spiaggia e sentire la sabbia sotto i piedi, di tornare alle loro vite semplici, fatte di routine e amore.

Piango per i miei genitori, soli in una grande casa improvvisamente silenziosa, il tavolo della festa pronto per quando potremo abbracciarci di nuovo.

Piango per mio marito che anni fa ha giurato ad Ippocrate

di perseguire la difesa della vita, la tutela della salute fisica e psichica dell’uomo e il sollievo della sofferenza”

e che mio figlio aspetta ogni sera sul divano: quando il padre ritarda, si addormenta , ma non va a letto finché non lo vede.

Piango per mia sorella che ama il suo lavoro ed è esposta tanto quanto mio marito.

Piango per i loro colleghi contagiati durante il lavoro, per quelli stremati dalla lotta contro un nemico subdolo, per quelli che non rientrano a casa da giorni.

Piango per le colonne di camion militari che portano lontano da casa il corpo di chi è morto senza l’abbraccio di un caro, l’anima no: quella è a casa e cerca di lenire lo strazio di chi non li ha potuti salutare un’ultima volta.

Piango per le persone nelle terapie intensive che lottano per vivere.

Piango per i loro parenti che temono di sentire suonare il telefono e vedere QUEL numero sul display.

Piango per i lavoratori dipendenti costretti a casa, per i datori di lavoro costretti a chiudere le aziende, per i lavoratori e i professionisti che ogni giorno affrontano le loro paure per garantire a noi tutti i “servizi indispensabili”.

Piango per il Papa che è solo e quella grande piazza vuota ne è la metafora più chiara.

papa francesco piazza vuota
Foto tratta da “LA REPUBBLICA”

Piango per un Mondo che sta mostrando tutta la sua fragilità e che non sarà più lo stesso.

Piango per me stessa, inadeguata ad affrontare tutto questo.

Piango e spero che in ognuno di noi resti il ricordo di questi giorni infiniti, in cui siamo stati costretti a guardarci dentro, le emozioni esposte come medaglie al valore di un esercito di uomini, donne e bambini, e che da esso fioriscano persone nuove in grado di apprezzare la forza di un abbraccio, la dolcezza del bacio di un cucciolo d’uomo, il sollievo di un caffè con le amiche, la gioia della grigliata del Lunedì di Pasqua, il vociare di una sagra di paese, il silenzio rapito di una platea a teatro.

Piango e sogno che ognuno di voi possa riabbracciare i propri cari.

Piango e tremo pensando che potrebbe non essere così per tutti.

Piango e il vento soffia leggero, i narcisi iniziano ad appassire e i tulipani si apprestano a sostituirli.

Piango e mi chiedo quali saranno i fiori che raccoglierò in giardino alla fine di questo capitolo distopico delle nostre Vite.

yellow daffodils in clear glass vase
Photo by Suzy Hazelwood on Pexels.com

 

Il mondo intorno a noi

Ognun al sint al sô mâl

Ognun al sint al sô mâl.

Aveva ragione la Nonna: ciascuno di noi sente il proprio dolore e lo reputa il più forte, un’esclusiva tutta nostra da poter rinfacciare al mondo come una rivalsa.

In un periodo brutale come questo, cerco di evitare i social farciti di post e commenti che nulla hanno a che fare con il quotidiano in casa Apollonio.

Invidio i commenti di chi cerca l’ennesima idea per arginare la noia, perché la noia io non me la posso concedere. Nonostante tutto l’impegno che ci metto, ogni mattina mi ritrovo esattamente a fare le medesime pulizie, novella Penelope della scopa e dello straccio, con un occhio perennemente puntato su Ariel. Appena mi giro un attimo, combina disastri di proporzioni disumane. Tempo di girare la testa e si sta masticando il tappo del pennarello. Venerdì, mentre preparavo i popcorn a Davide, ha sfondato lo sportello dell’asciugatrice e, sapendo di averla fatta grossa, lo ha nascosto nella doccia (alla faccia della proverbiale onestà delle persone autistiche). Intenta a capire se l’amato elettrodomestico fosse riparabile, sento un tonfo poderoso: in cinque minuti Ariel ha ribaltato la cassettiera della camera matrimoniale. Poteva finire molto male, evidentemente la Nonna a cui avevo appena finito di gettare uno sguardo su di noi, l’ha protetta.

Se si sommano l’ansia di Davide e la paura che mi attanaglia ogni volta che vedo arrivare una telefonata da Luca, la misura è colma: qua la noia è bandita, non ha alcun diritto di accesso tra queste quattro mura.

Mi fanno sorridere i post di coloro che parlano della strepitosa capacità di adattamento dei ragazzi autistici a questa situazione: vorrei capire a quali statistiche si riferiscono, perché Ariel non si sta adattando proprio per niente e so per certo che non è l’unica. Mi consegna la cartina della SPIAGGIA e piange per ore perché vuole uscire. Non c’è strutturazione che tenga, non c’è X rossa sulla cartina che tenga, non c’è storia sociale che tenga. Lei vuole la sua vita, lei rivuole le sue routine. Gira per casa con il vecchio planning settimanale dove ha attaccato le cartine di SCUOLA e ELENA (l’educatrice che la segue a casa). Le faccio rispettare la nuova pianificazione, fa i compiti e vivaddio che ci sono, altrimenti avremmo entrambe passato le giornate a tirare testate al muro, guarda i cartoni animati. In questi giorni la porto pochissimo sull’altalena, perché la bora è implacabile. Ci sono persone autistiche che si sono adeguate, altre lo stanno facendo più lentamente e altre ancora a cui questo lungo periodo sta creando grossi problemi. Le generalizzazioni non vanno mai bene ed è per questo motivo che non mi stancherò mai di ripetere che quando parlo di autismo, parlo di Ariel, senza alcuna pretesa di estendere il nostro vissuto al resto del mondo.

Mi infastidiscono i commenti di chi sa tutto: noi italiani siamo i massimi esperti in ogni disciplina, mai una volta che avessimo l’umiltà di dire “Non lo so, non so che cosa farei al suo posto”. Abbiamo sempre consigli ed opinioni su tutto, riusciamo ad interpretare ogni disposizione a nostro uso e consumo consigliando agli altri di “studiare l’italiano” attaccandoci alla punteggiatura, quella maledetta!, che osa dare un senso diverso ad un periodo. Le virgole sono le peggiori, sembra quasi che i politici le buttino lì a caso, per il gusto di mettere in crisi le nostre sinapsi già deteriorate dalla noia.

Per fortuna la settimana goliardica dei balconi si è chiusa senza eccessivo clamore: estinta come l’entusiasmo delle persone che finalmente hanno iniziato a capire che c’è ben poco da ridere, quando decine di camion partono dalla Lombardia con le salme di persone morte sole, senza l’abbraccio dei parenti, senza un funerale. Penso sopravvissuti, a chi ha perso un caro in questo momento, al senso di vuoto che avranno sempre tra le braccia, al rimpianto di non essere stati là a tenergli la mano.

La quarantena non è un premio vacanza, la quarantena è un modo per tutelare tutti noi da quel nemico invisibile e stronzo che sembra divertirsi alle nostre spalle.

Potrei continuare a lagnarmi per giorni e non ne ho voglia, non mi piace fare la lagna, ma non mi piacciono le diatribe del cazzo che ho letto nell’arco degli ultimi dieci giorni:

Nord contro Sud e viceversa;

Runners contro Restodelmondo;

Neurodiversi (e loro famiglie) contro Neurotipici perché “noi abbiamo sempre vissuto così”;

Le Aziende aperte contro le Aziende chiuse e viceversa…

Dipendenti contro Partite IVA;

Genitori contro Tutti “perché io cosa gli faccio fare a questi tutto il giorno?”;

Padronidigatti contro Padronidicani “perché anche Micio deve poter essere sceso a fare la pipì”;

La Bora contro la Primavera “perché tu ti credevi di essere arrivata e invece ti faccio vedere io chi è che comanda!”;

La Terza Autocertificazione contro la Seconda “perché io so più cose di te, anche da dove partono e dove arrivano!”

E potrei continuare per giorni. Dal divano del mio soggiorno assisto quotidianamente alla guerra dei poveri, mentre un virus armato di corona semina morte e dolore in tutto il mondo.

Io non ho tempo per tutto questo ed eccomi di nuova a

“Ognun al sint al sô mâl”.

Io non pretendo di capire le vostre sofferenze e sono altrettanto certa che voi, giustamente, non possiate capire le mie o quelle di chiunque altro. La mia vita è unica come lo sono le vostre e, nonostante l’empatia e la sensibilità che ognuno di noi ha, una vita per essere compresa, deve essere vissuta. Alla fine è solo questione di prospettive personali.

Questo non è il momento delle diatribe, non è il momento delle offese o delle cazzate, questo è il momento di portare rispetto per tutti coloro che combattano per la propria vita e per chi combatte per la vita degli altri, di chinare la testa di fronte a chi non c’è più e al dolore di chi ha perso parenti ed amici, di rispettare le regole senza egoistici colpi di testa e di raccogliere le forze per quando tutto questo sarà finito e dovremo rialzarci per far ripartire la nostra Italia.

Questo sbrodolo in risposta a tutti coloro che quotidianamente sono così gentili da chiedermi perché sono sparita e che ringrazio davvero molto: di salute stiamo bene ed è la cosa più importante, ma me ne sto sulle mie, perché i social in questo momento fanno più male che bene e se fosse per me, oltre alle porte e ai balconi, ai parchi giochi, ai negozi ed ai caffè, farei chiudere pure le finestre di Windows.

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Foto di Lisa Fotios da Pexels

 

Il mondo intorno a noi · La famiglia "autistica"

Positività un tanto al chilo

Il mio umore fa pendant con il meteo: grigio e ventoso.

La primavera è alle porte, lei se ne frega del coronavirus e della quarantena, proprio come Baloo che non perde occasione per uscire in giardino a caccia di talpe. Aveva ragione il Giacomino nazionale a declamare con invidia l’ignoranza delle beate greggi. ¹

Guardo il giardino che si sta vestendo di giallo e viola, i germogli verde chiaro. Il campo dall’altro lato della strada è stato colonizzato da gabbiani, prepotenti e vocianti hanno preso possesso del terreno e ne impediscono l’accesso a qualsiasi altro essere vivente.

Mancano solo gli esseri umani. Forse siamo noi i nuovi liocorni, in un mondo rinchiuso tra gli accoglienti muri di casa. Non un’automobile, non uno scooter, tutto fermo, tutto silenzioso come agli inizi del secolo scorso. Stiamo facendo un passo indietro, per spiccare un salto in avanti e dimenticare questi giorni di esilio forzato, novelli Robinson Crusoe il cui nuovo compagno non si chiama Venerdì, ma Playstation.

La casa è pressoché sterile, almeno finché Ariel lo consentirà: il crollo delle routine le ha aperto lo stomaco e rinchiuso in un baule la voglia di socializzare. Per lei questi giorni sono veleno, la riportano ad uno stadio di chiusura primordiale.

Siamo in gioco, Princess, e giocheremo, rispetteremo le regole e le caratteristiche di entrambe, anche se siamo perfettamente consapevoli che sarà difficile non prevaricarci a vicenda.

Luca mi ha appena mandato questa sua foto bardato per la cosiddetta ”Area Rossa” ed è stato come ricevere uno schiaffo in pieno viso. Fino ad ora nella mia mente mi ripetevo come un mantra:

“Sì, ok, va a lavorare, può essere esposto a situazioni difficili, ma perché dovrebbe succedere a lui di ammalarsi?”

Già, perché?

Pensiamo sempre che le cose succedano “agli altri” senza pensare che noi stessi siamo “gli altri” di qualcuno.

Non si scherza più: qua si fanno le ronde del giardino per sopravvivere, mentre là c’è chi lotta per non morire.

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Ho bisogno di pensare positivo, a qualcosa che non ho mai visto o fatto prima del lockdown.

Devo trovare almeno cinque aspetti buoni di questa situazione da fine del mondo conosciuto, stamperò l’elenco e lo attaccherò su tutte le porte di casa per non dimenticare mai la bellezza oltre la miseria umana:

1) Davide legge spontaneamente libri, visto che col cavolo che esco di casa per comprargli “La Gazzetta”;

2) Sto imparando a leggere tutte le etichette dei detersivi. Di questo passo a settembre potrò tentare l’ammissione a Chimica e Tecnologie Farmaceutiche;

3) Gli italiani rispettano la fila per entrare al supermercato senza cercare stratagemmi per saltarla;

4) Lo stile di vita dell’italiano medio ha subito una svolta igienista e salutista: detersivi, frutta e verdura vengono barattati solo con oro e argento;

5) Ho appena visto passare due signori della Protezione Civile in bicicletta e mascherina d’ordinanza. Respect!

6) La voglia di vivere e di combattere degli italiani non li abbandona mai: dagli arcobaleni, ai concerti alle finestre passando per il plauso ai Sanitari, per la prima volta vedo la mia Italia stringersi in un abbraccio d’amore da Nord a Sud passando per il centro. E questo mi commuove;

7) Sto imparando a tollerare la puzza di candeggina che penetra nelle mani nonostante i guanti;

8) Per la prima volta festeggerò il mio compleanno in estate: 45 anni sono una tappa importante! Sono la metà di 90, la paura; sono il cartello “lasciate ogni speranza voi che entrate (nella mezza età avanzata, ndr)”. Quindi, quando l’esilio sarà finito, festeggerò il ritorno alla vita e questo genetliaco bistrattato come un vecchio paio di mutande sformate e di cui ci si vergogna un po’;

9) Mia sorella ha preparato una torta;

10) Visto il punto 9) Ho trovato chi cucinerà a Natale per tutta la famiglia e scusatemi se è poco!

11) Riesco a traslare lo shopping compulsivo dal negozio di abbigliamento al negozio di alimentari. Alla fin fine ciò che conta è far girare l’economia. Becky Bloomwood docet.²

Alla fine ne ho trovati addirittura undici! L’ordine è casuale perché li ho scritti man mano che li pensavo, scusate se non c’è un filo logico.

E oggi il bicchiere è pieno di abbracci VIRTUALI (altrimenti oggi come oggi diventa una minaccia) per tutti voi che, seduti al tavolo della cucina o sdraiati sul divano, state cazzeggiando con me su Facebook, perché

se #iorestoacasa e voi restate a casa

se ognuno di noi farà il proprio dovere

#tuttoandràbene!

¹ Giacomo Leopardi, “CANTO NOTTURNO Dl UN PASTORE ERRANTE DELL’ASIA”

O greggia mia che posi, oh te beata,
Che la miseria tua, credo, non sai!
Quanta invidia ti porto!
Non sol perchè d’affanno
Quasi libera vai;
Ch’ogni stento, ogni danno,
Ogni estremo timor subito scordi;
Ma più perchè giammai tedio non provi.
Quando tu siedi all’ombra, sovra l’erbe,
Tu se’ queta e contenta;
E gran parte dell’anno
Senza noia consumi in quello stato.”

² Protagonista di “I LOVE SHOPPING” di Sophie Kinsella