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Avere la 104 non è un insulto

Leggo un post in cui si commenta un fatto di cronaca.

Come sempre ci sono commenti a favore dello scrittore, altri contro.

Poi l’ultimo, triste, bieco commento: “Chi ha fatto il post ha la 104 sicuramente”, con un ovvio riferimento ad una supposta disabilità intellettiva.

Questo di usare la 104 come se fosse un insulto sta, ahimè, diventando una brutta moda tra i poveri di spirito.

Vado a sbirciare chi è questo ennesimo fenomeno dell’etica sociale: immagine del profilo mentre brandisce una racchetta da tennis, studia (o ha studiato) scienze motorie e ama molto i selfie.

Caro il mio tennista, avere la 104 non è un insulto.

Il vero insulto sei tu che in tutto il tuo splendore e sagacia non sai fare altro che usare uno strumento a tutela dei disabili come una pietra.

E sì che sei pure “studiato”. All’Università non ti hanno insegnato che disabili non solo si nasce, ma anche si diventa e che il karma è una brutta bestia?

Ti auguro lunga vita senza bisogno di quella legge che ora tanto discrimini, ma stai tranquillo: se mai tu o i tuoi parenti ne avrete bisogno, noi vi accoglieremo a braccia aperte nel nostro gruppo di famiglie in difficoltà, perché, avremo mille deficit fisici o intellettivi, ma sicuramente noi non siamo disabili emotivi come te.

Immagine dal web
Ariel · Davide

L’Uno e L’Altra

Ho due figli abilmente diversi.

L’Uno conosce tutte le capitali e le bandiere degli stati del globo, cita interi dialoghi di trasmissioni di cucina e snocciola i risultati delle partite di tutte le “serie A” del continente europeo.

L’Altra sa fare i puzzle a rovescio, bypassa tutte le password che imposto sul cellulare e riconosce i suoi wurstel preferiti semplicemente annusandoli.

L’Uno è completamente negato con il flauto, ha un’autostima bassissima, quasi patologica, e spesso gli devo ricordare di pensare prima di parlare.

L’Altra ha una brutta calligrafia, ha un’autostima altissima, quasi patologica, e non parla, ma pensa davvero molto.

L’Uno è spesso preso di mira dai bambini e sta crescendo con la convinzione di essere sbagliato e ne soffre moltissimo.

L’Altra è raramente presa di mira dai bambini e suppongo che comunque non gliene freghi nulla visto che non l’ho mai vista soffrire dopo un brutto episodio.

Per alcune persone L’Uno è un bambino dolcissimo con spunti geniali, per altri è un secchione fastidioso.

Per alcune persone L’Altra è una bambina determinata con spunti geniali, per altri è una scema con il cervello come una pallina da pingpong.

L’Uno non ha  certificazioni, L’Altra per la legge 104 è un art. 3 comma 3.

Non ho figli normali, non ho figli speciali, ho due figli: sono bambini con pregi e difetti.

Le loro conquiste sono loro, non mie: io li accompagno e lascio loro il diritto di sbagliare.

I miei figli sono abilmente diversi tra di loro, ma riempiono il mio mondo di amore in modo abilmente uguale.

L’Uno e L’Altra in altalena
La mamma "autistica"

Beata me…

“Beata te che hai i permessi 104.”

Non potevo credere alle mie orecchie quando me lo dissero.

Beata me…

Beata me quando passo le notti in bianco tenendo la mano ad Ariel che piange o cerca di comunicare il suo disagio.

Beata me che ho l’automobile da tre anni e il contachilometri ne segna 95.000, la maggior parte dei quali fatti portando la Princess al centro riabilitativo.

Beata me, seduta sui divani rossi nella sala d’attesa, mentre aspetto che Ariel esca dalla riabilitazione.

Beata me che ho dovuto rinunciare ad un lavoro full time, perché incompatibile con le esigenze di accudimento di mia figlia.

Beata me che non posso mai vedere una partita di mio figlio, andare al ristorante o al cinema con la famiglia, perché sono situazioni che la agitano.

Beata me che mi rigiro nel letto, notte dopo notte a pensare a come organizzare il suo futuro quando non ci sarò più.

Beata me che non mi sono mai sentita chiamare “mamma” o dire “ti voglio bene” da lei.

Beata me che non vado alle recite della sua classe e che soffro rendendomi conto del divario tra lei ed i compagni che aumenta di giorno in giorno.

Beata me che ho mille poesie di Natale, Pasqua e per la Festa della Mamma, canti e sogni mai ascoltati.

Beata me che non la vedrò mai vestita da sposa o uscire in tailleur e tacchi per andare al lavoro e non avrò mai nipoti che mi diranno: “Nonna, tua figlia va sistemata, adesso sta veramente esagerando!”

Beata me che sono preoccupata per Davide che, come tutti i siblings, sta crescendo troppo in fretta, troppo maturo per la sua età.

Beata me che mi devo ritagliare un weekend all’anno con mio figlio per potermi dedicare a lui e ricordargli che lui vale tanto quanto lei, perché il dubbio è sempre lì strisciante e subdolo: a dieci anni è facile scambiare il grande numero di ore passate con la sorella per una preferenza.

Beata me che a 39 anni, dopo la diagnosi, una mattina mi svegliai con i capelli completamente grigi.

Beata me che mi chiudo in bagno e, muta, urlo allo specchio tutta la mia rabbia e il mio dolore.

Beata me per quei tre fottuti giorni al mese che non mi ripagheranno mai di ciò che ho perso.

Beata me per l’amore della mia famiglia, per lo sguardo intenso di Davide e quello sognante di Ariel, per il lavoro, per l’automobile quasi nuova nonostante i 95.000 chilometri, per la salute, per le notti in cui posso riposare con un cucciolo riccioluto rannicchiato sulla mia spalla, per le albe viste con Ariel alla fine delle nostre notti insonni e i tramonti sul mare, per il fuoco nel caminetto, per le vacanze in montagna, i giorni al mare e i week-end sola con Davide, per le castagne che scoppiettano sulla stufa e per il sugo dell’anguria che gocciola lungo il mento, per i sogni ad occhi aperti e quelli bellissimi tra le braccia di Morfeo, dove Ariel parla e mi racconta la sua giornata.

Beata me che ho ancora la forza di arrabbiarmi davanti alle ingiustizie e che a 44 anni non sono ancora così assennata da dirmi: “lascia perdere, non si può lottare contro i mulini a vento”.

Beata me perché Ariel ha una presa in carico, mentre c’è chi aspetta.

Beata me per la Vita, non per i  permessi 104.

Beata te che non li hai, ma che forse sei meno fortunata di me, nonostante tutto.

Immagine dal web
Davide · Il mondo intorno a noi · La famiglia "autistica"

La domanda

Ieri commissione INPS per la 104.

Ariel era isterica e ipersensoriale fin dalle prime ore del mattino. Infastidita dalla troppa luce, dal troppo caldo, dai rumori in strada, anche la colazione è stata difficile, nervosa.

Per aiutarla ad affrontare l’attesa, le ho acquistato un libro con gli stickers di Bing: lo ha già avuto tre volte e si sente competente ed autonoma e quindi si rilassa.

In sala d’attesa si è comportata bene: seduta sulla sua sedia dalla scocca in plastica, ha incollato adesivi senza stereotipie o urla particolari e cercando conferme sul corretto posizionamento delle le figurine libere (tende a metterle tutte vicine e senza un ordine logico).

Davide l’ha aiutata a staccare gli adesivi, in un raro momento di scambio fraterno.

Abbiamo fatto passare una signora anziana che stava poco bene e l’attesa si è pertanto potratta più del previsto: Ariel, dopo aver finito il libro, ha iniziato a correre su e giù sulle punte e a emettere suoni di disagio, le manine sempre più veloci. Un bambino le ha detto di smettere di urlare, di finirla di fare la cattiva, mentre il padre lo rimbrottava.

Siamo finalmente entrati, tutti e tre, una scomposta fila indiana. Davide si è seduto, Ariel non ne ha voluto sapere. Cercava di uscire, ha tentato di rubare un telefono, ha protestato il suo disagio. Un paio di domande in piedi, mentre facevo barriera per evitare la sua fuga. Infine la domanda delle domande.

“Com’è tua sorella? È brava? Gioca con te?”

Davide mi ha guardata di traverso: “Sì, abbastanza!”

Ho strabuzzato gli occhi, cercando di trattenere la piccola peste che stava aprendo la porta per fuggire verso la libertà.

“Davide, ma cosa dici? Ma quando giochi con lei?!”

Mi ha studiata da sotto in su, lo sguardo triste… Si è girato verso la Commissione: “No, non gioca con me, a volte mi graffia, soprattutto se rido…”

Poco dopo eravamo davanti all’ascensore. La visita più breve della storia. Io abbracciavo Ariel da dietro cercando di evitare che infilasse le mani nelle porte dell’ascensore che stava salendo lentamente. Ho chiesto a Davide come mai avesse detto di giocare con Ariel. Mi ha risposto: “Non volevo che pensassero che è cattiva…”

Il cuore ha fatto un sussulto, è precipitato giù fin nelle viscere, le gambe improvvisamente molli: riconosco il ragionamento, il pensiero di Davide. È l’irrefrenabile desiderio di fare vedere le cose meno gravi di quanto siano realmente , di scusare Ariel e quelli che, agli occhi inesperti dei più, sembrano comportamenti “bizzarri”; è un sottile senso di colpa che striscia subdolo. Razionalmente, però, che colpa abbiamo noi? Che colpa ha lei?

Lo avrei stretto forte, ma non potevo allentare la presa sulla iena di casa e mi sono dovuta accontentare di mettergli una mano sulla spalla dicendo: “Davide, nessuno pensa che Ariel sia cattiva. Il bambino di prima ha detto così perché non la conosce. Oggi noi dovevamo spiegare ai dottori chi è Ariel, nel bene e nel male, affinché loro possano capire come sta, però so anche che tu la vuoi proteggere.”

Si è stretto a me e siamo finalmente entrati nell’ascensore.

Sono molto orgogliosa di Davide: sta crescendo bene, è un bambino dolcissimo e dal cuore grande e gentile. Sono convinta che sarà un grande Uomo.

Per quanto concerne la visita non so cosa deciderà la commissione: la Princess è stata pessima, spero che le venga riconosciuto l’esonero alla revisione fino ai 18 anni, ma lo saprò solo fra tre settimane. Solo quando avrò letto il verbale della busta bianca con il logo blu saprò se essere orgogliona (orgogliosamente cogl….) per il risultato ottenuto o vergognarmi definitivamente per la figura di 💩 (*)

Insomma tutto come da copione. 😂

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(*)  N.B.: alcuni comportamenti di Ariel sono riconducibili all’autismo, altri solo al suo essere una femmina di 8 anni dal carattere terribile. Ieri parte del comportamento pessimo era dovuto ai capricci per la noia dell’attesa. I comportamenti autistici non adeguati non sono un problema e ci lavoriamo sopra. Come madre non posso però accettare il capriccio della bimba viziata o annoiata. Ariel è in primis una bambina.