La mamma "autistica"

Un morso di felicità

Quando i bambini sono con il padre, la mia mente vola e spesso i luoghi che frequenta non sono quelli che vorrei.

Così stamattina ho ripensato con grande sofferenza all’anno appena concluso e chiuso definitivamente i conti con gli ultimi dodici, densi, pesanti 12 mesi.

Ho preso un foglio, ovviamente a righe con i margini, e ho scritto tutte le cose brutte che sono successe in quel miserabile anno che è stato il 2021 e l’ho bruciato nel caminetto, acceso in attesa dell’arrivo dei miei ragazzi.

Poi mi sono seduta qua sul divano con il portatile e ho deciso di seguire il consiglio di Hemingway:

“Ora non è il momento di pensare a quello che non hai. Pensa a quello che puoi fare con quello che hai.”[1]

e ho iniziato a elencare le cose che mi hanno aiutata ad andare avanti giorno dopo giorno:

La prima vacanza del nuovo triangolo famigliare;

Ariel che dice per la prima volta “mamma”;

Davide che dà prova di grande forza di carattere rimanendo il ragazzino dolce di sempre;

Baloo che mi fa compagnia notte dopo notte;

Il primo viaggio di Ariel con lo scuolabus;

La gentilezza di uno sconosciuto in cassa al supermercato;

La mia famiglia che, nel momento più buio, mi è stata vicina e accolto la mia richiesta di non intervenire in alcun modo;

Una nuova amica che ha sempre una seggiolina pronta per Ariel;

Amiche che portano sempre pasticcini e parole di confronto ché il conforto da solo a volte non basta;

Amiche del passato che, nonostante la vita le abbia messe duramente alla prova, non si spezzano mai e mi aiutano a capire che insieme ce la possiamo fare;

Amiche lontane che il cuore sente vicine, che mi conoscono più di quanto io stessa sia disposta ad ammettere, che mi fanno arrivare sciarpe che abbracciano, tazze con messaggi tutt’altro che subliminali e un kit, acqua compresa, per fare il miglior caffè del mondo, in attesa di prenderne uno insieme al tavolo 22 del Gambrinus;

La mia panchina al mare;

I libri letti e, soprattutto, quelli ancora da leggere;

La consapevolezza che, nonostante tutto, mi basto e che valgo più di quanto qualcuno pensa, anche se meno di quanto vorrei;

Un nuovo inizio pieno di incognite, ma stimolante come la primavera che arriverà presto.

Festeggiamo il Capodanno come gli antichi Romani i quali il Primo gennaio onoravano Giano, il dio bifronte che con una faccia guarda il passato, con l’altra il futuro.

In questa seconda giornata di un nuovo anno, voglio prendere la speranza rimasta sul fondo del vaso scoperchiato da Pandora nel 2021 e guardare avanti, perché il passato è maestro, ma il futuro è vita.

Ora vi saluto, perché sono finalmente arrivati i miei portatori di amore e gioia e ho bisogno di un loro abbraccio e di un morso di serenità, la stessa che auguro a tutti voi e che troppo spesso viene sottovalutata da chi è alla ricerca della felicità e che, invece, è molto ambita da chi, come me, agogna ad un cielo privo di nubi.

Photo by Pavel Danilyuk on Pexels.com

[1] Ernest Hemingway, Il vecchio e il mare

Il mondo intorno a noi · La famiglia "autistica"

Il baricentro

Quando Luca mi chiese di sposarlo, sua nonna e sua zia mi catechizzarono a colpi di quadrangoli e responsabilità muliebri. Cito testualmente: “Il matrimonio è un quadrangolo, tre lati li porta la moglie, uno il marito.” Leggesi: se va male è colpa tua.

14 anni dopo il quadrangolo ha perso un lato e ora Davide, Ariel ed io siamo un triangolo equilatero: tre elementi congruenti della famiglia, ognuno di noi porta la sua parte.

In questo momento così particolare per noi, Ariel sta pure entrando in fase puberale e, quindi, vive tutto con più frustrazione. Io, però, evito di rinchiuderla in casa, perché gli effetti del lockdown sono, ahimè, ancora ben presenti nella mia memoria e la porto in posti che conosce e che non la mettono troppo sotto pressione.

Bardata con paraorecchie e occhiali da sole, cerco di farle trascorrere giornate serene al di fuori delle mura di casa e aspetto che anche questa volta passi “a nuttata”.

Facciamo la spesa, una lista di poche cose mirate che lei mette nel cestino… Mette… Butta, lancia, scaraventa… Niente uova e bottiglie di vetro, per ora, nella lista di Ariel.

L’altro giorno Ariel era molto nervosa e poco collaborativa, ma la gentilezza  del Signore che era in fila dietro di noi in cassa, mi ha ridato fiducia nel genere umano che spesso non ha abbastanza tempo per guardare oltre l’autismo e vedere la bambina. Con calma e pazienza ha aspettato che caricassimo i nostri prodotti sul nastro e che Ariel, molto svogliatamente, le riponesse nelle borse.

Quando mi sono scusata con lui e con la cassiera per l’attesa, mi ha rassicurata dicendo che “non aveva fretta e che comprendeva l’importanza di ciò che stavamo facendo.”


Mi ha commossa: senza bisogno di spiegazioni ha capito che quei 5 minuti in più sono la strada verso una vita (seppur minimamente) autonoma di Ariel.

E il bicchiere (ovviamente di plastica) è mezzo pieno di cestini della spesa e persone gentili che non ci vedono come un ostacolo ai loro ritmi, bensì come una famiglia che ogni giorno cerca il proprio baricentro.

Immagine di Ariel che fa la spesa
Senza categoria

L’albero di Natale

Imperfetto.

Pieno di “buchi”.

Addobbato da Ariel con le sue manine disprassiche.

È l’albero dei bambini: tutti i decori sono stati fatti dalla Princess e dai suoi cuginetti.

Ed è quello che più ci somiglia: poca forma, tanta sostanza e mille luci accese a scacciare l’ombra degli ultimi mesi.

Buon Natale a tutti, amici cari 💙💙

Il mondo intorno a noi

La domanda più difficile

La solitudine di una famiglia con un figlio disabile è roba forte che solo pochi riescono a guardare in faccia.

Più facile girarsi dall’altra parte e usarla come termometro del proprio benessere.

Non compatiteci: la pietà di taluni sguardi è discriminante tanto quanto il fastidio o la paura ed è anche subdola, poiché inconsapevole e permeata da un senso di perbenismo difficile da scalfire.

La solitudine rosicchia l’anima giorno dopo giorno e alla fine lascia dietro di sé famiglie stremate dalla fatica e dalla consapevolezza che domani quella creatura tanto amata, protetta, accudita verrà considerata solo un peso sociale, ridotta ad una diagnosi , spersonalizzata di tutte le sue qualità, inquadrata nei propri deficit.

Dateci la possibilità di farvi conoscere i nostri figli e capirete che sono molto di più quanto possiate immaginare.

Avete mai invitato uno di noi a prendere un caffè? Ma non in un ipotetico domani, adesso, subito ché il dolore è impaziente, non aspetta che voi siate liberi da impegni.

Non cambiate strada quando ci incontrate: possiamo essere faticosi, noiosi, pesanti, monotematici, ma quelle quattro chiacchiere scambiate con voi potrebbero essere le nostre uniche interazioni con adulti senzienti della giornata.

Mi commuove chi ha il coraggio di porgerci la domanda più difficile del mondo:

“COME STAI?”

Difficile per chi la rivolge, poiché è una domanda aperta, subdola che potrebbe avere mille risvolti tra i quali una slavina di lagna o un mare di dolore; difficile per noi che la riceviamo che, non conoscendo il reale interesse alla nostra risposta, spesso non abbiamo il coraggio di dire la verità. Così, sorridendo, ci rifugiamo in un asintomatico “Bene, dài!”, la tristezza negli occhi celata dagli occhiali scuri.

Ma fatela questa domanda!

Mal che vada perderete cinque minuti ad ascoltare un genitore sfiancato dalla routine (tanto difficilmente abbiamo più tempo a disposizione), ma potreste alleviare un po’ la nostra fatica, perché condividere un peso, anche per solo qualche metro, rende la vita meno pesante, anche a noi che a qualcuno piace pensare dotati di superpoteri. In questa ottica possiamo affrontare tutto più facilmente: la fatica è meno fatica, il dolore è meno dolore, gli obiettivi raggiunti dai nostri figli sono merito nostro (invece sono merito soprattutto loro, noi possiamo solo supportare, non sostituirci a loro) e sicuramente meno faticosi che se conquistati con le sole umane forze.

E invece vi voglio svelare un segreto.

Non abbiamo superpoteri, siamo solo genitori, ma con il potere umano più forte del mondo: l’amore per i nostri figli.

Sono certa della buonafede di molti e che esprimere taluni complimenti sia un modo per farci sentire apprezzati e importanti, ma noi non vogliamo nulla di tutto questo.

Noi vogliamo un mondo migliore per i nostri figli. Un mondo in cui non ci sia bisogno di una parola come “inclusività” affinché possano vivere vite degne al pari dei loro coetanei e in cui vengano apprezzati per loro stessi e non per ciò che una società buonista li vorrebbe: buoni e bravi, angeli mandati in terra per redimere un mondo brutto e cattivo. Se verranno trattati da persone e non da diagnosi, quando arriverà il momento potremo morire sereni, fino ad allora il loro futuro sarà sempre la maggiore fonte di dolore e preoccupazione.

Cosa vorrei trovare per la mia famiglia sotto l’albero di Natale?

Una lattina di serenità, un pacchetto di riposo, un barattolo di comprensione e una spolverata di felicità.

Per me, invece, un cappuccino con le amiche, non importa se in tazza o in bicchiere di vetro, se caldo o tiepido, con o senza cacao. Un semplice cappuccino, beatamente seduta fronte porta, senza dover costantemente monitorare tutte le possibili vie di fuga di una Principessa stratega dell’evasione silenziosa. Un cappuccino e due bustine di zucchero, perché la vita sa già essere sufficientemente amara da sé.

Photo by David Bares on Pexels.com
Il mondo intorno a noi

La perfezione

Con aria paternalistica sostengono che Creatore non dia mai un peso maggiore di quanto una persona possa sopportare”.

Sono velocissimi a dispensare consigli che, oltre a non essere richiesti, spesso sono pure errati, perché, quando si parla di condizioni come quelle di Ariel, non si può tirare ad indovinare, bisogna muoversi con destrezza e attenzione, onde evitare precedenti deleteri che poi dovranno essere estinti con molta fatica e togliendo risorse che potrebbero essere dedicate ad altro.

Ci guardano con fastidio o paura quando la Princess fa le sue stereotipie, ma le lacrime, siano di rabbia o di frustrazione, scendono solo davanti allo sguardo pietoso di chi ci usa come parametro per consolidare la propria convinzione di avere una vita (illusoriamente) perfetta in una casa immacolata e di avere figli che gli piace pensare privi di umani difetti.

Lo so, è facile soffermarsi sulle mancanze di Ariel, più difficile vedere la ragazzina affettuosa che, nonostante tutte le difficoltà, sta sbocciando in una meravigliosa creatura: una tenace rosa di dicembre che nemmeno il freddo e i rovi riescono a piegare.

Lei insegna al mondo che la perfezione non sta in un funzionamento neurotipico, bensì in un abbraccio spontaneo, in una carezza leggera, in un bacio senza schiocco e in due occhi cerulei che guardano alla sostanza delle persone.

Ariel è priva di pregiudizi, accoglie nella sua vita solo chi le trasmette sincero affetto, perché le interessa chi siamo e non ciò che vorremmo che gli altri vedessero di noi.

Dal canto mio, penso che siamo meravigliosi in tutta la nostra imperfezione di esseri umani: se i pregi ci avvicinano all’eccellenza, è la sommatoria dei nostri difetti a renderci unici.

Una rosa di dicembre nel guardino dei miei genitori

Ariel

I soliti

Una delle cose più gratificanti e che fa sentire a casa è il barista che ti chiede: “Il solito?”

Ariel ha esteso questo concetto a tutta la colazione al bar: le solite due brioche, chieste alzando pollice e indice, il solito cappuccino, la solita Coca-cola Zero, il solito tavolo. In questo momento di poche certezze, si è attaccata alle routine come Linus alla copertina. Routine che nel mondo autistico sfociano spesso in vere e proprie rigidità, poiché possono raggiungere livelli inusitati di chiusura alle novità e non accettazione degli imprevisti.

Così la Princess fa il quality check alla brioche controllando il livello di cottura, la lievitazione, il numero delle piegature e l’equità della disposizione dei granelli di zucchero; controlla la quantità e le dimensioni delle bollicine della coca-cola e il livello della schiuma del cappuccino, ma è soprattutto il tavolo a catalizzare la sua attenzione. Ultimamente, se lo trova occupato, fregandosene altamente di tutte le convenzioni sociali, si fa largo tra gli avventori e si siede serena e imperturbabile.

Ovviamente sto attuando diverse strategie, affinché non diventi eccessivamente rigida rispetto al posto in cui si siede, ma è rasserenante sapere che, sebbene sia socialmente sbagliato, i presenti ormai le si sono affezionati e la accolgono sempre serenamente tra di loro.

È per questo che andiamo sempre negli stessi bar, negozi, alimentari o supermercati: i “soliti posti” diventano luoghi in cui mi dispiace creare scompiglio, ma dove non provo più imbarazzo, perché lì la Princess è amata e accettata nella sua diversità.

Nei luoghi conosciuti ci possiamo permettere di essere un po’ più lente o didascaliche, mentre lavoriamo sulle autonomie e sulle regole sociali.

E così, giorno dopo giorno, Ariel è diventata la Princess di tutti: non solo perché la corona le dona particolarmente, ma anche perché ovunque la trattano come una figlia o una nipotina e il soprannome più usato per le bimbe è Principessa.

E tale rimarrà per il resto dei suoi giorni, perché io non ho alcuna intenzione di abdicare. Queen Elizabeth II docet.

Ariel che, seduta al solito posto, sbrana la solita brioche con la solita fame nera
Senza categoria

Qualcuno che mi veda

Non so chiedere.

Da buona madre di mia figlia, non so chiedere, preferisco fare da sola, piuttosto che rivolgermi ad altri.

Con Ariel abbiamo lavorato a lungo sulla richiesta, un passo alla volta, smontando un procedimento naturale per ogni bambino e rimontandolo passo passo.

La differenza è il punto di partenza.

Lei ignorava la funzione sociale ed economica di appoggiarsi ad altri: così la trovavo arrampicata sulla credenza per prendere il barattolo dei biscotti; o che sbatteva la testa contro il muro perché, ancora piccola, non sapeva  cambiare il DVD tantomeno chiedere a qualcuno di farlo per lei.

Io non chiedo, perché sono troppo orgogliosa, perché non voglio disturbare, perché ognuno di noi ha già i suoi problemi da gestire.

Perché spero sempre che qualcuno mi veda.

No, non che mi guardi, che mi VEDA, che si accorga di come sto e mi tenda una mano.

Che mi porga un fazzoletto e mi prepari un caffè, fragrante abbraccio aromatizzato all’Arabica per lenire le ferite di un anima ormai lacera.

Ariel

Lo sguardo della Princess

Parlo molto con Ariel, da sempre. Le racconto la mia giornata, le spiego quello che sto cucinando, la elogio e la rimbrotto.

SÌ, insomma, faccio una cosa che taluni all’inizio non comprendevano: la tratto da persona della sua età. Purtroppo è molto facile scadere nel “bambinismo” con chi ti guarda e apparentemente risponde solo con un SCÌ o con un gesto della mano.

Un occhio attento e amorevole, però, coglie molto, forse tutto: Ariel parla con lo sguardo e con il corpo. Tutti noi lo facciamo e il linguaggio non verbale è sempre il più sincero. Nonostante gli sforzi immani a cui si sottopone, la mia biondina dice solo alcune parole, ma comunica con tutta se stessa.

Martedì, mentre le facevo le classiche raccomandazioni da mamma – non fare arrabbiare, comportati bene, cammina senza protestare, ubbidisci, divertiti! – mi guardava con la stessa espressione che ti aspetteresti da una bambina di dieci anni: annoiata, ma quando le ho detto “Ti voglio bene, ragazzina!”, la Princess si è alzata e mi ha abbracciata forte mormorando ” CCH’IO!”.

Autismo non vocale non significa non comprensione o non comunicazione, ma incapacità di parlare e a volte le parole sono davvero inutili.

La mamma "autistica"

Il maggiordomo

Quando compii 30 anni ero devastata: consideravo quel compleanno come la fine della giovinezza e l’ingresso nell’età adulta, la fine della spensieratezza di un’adolescenza tirata decisamente per le lunghe.

Finché il mio boss, sapendo della mia crisi esistenziale, mi provocò:  “Katjuscia, lo sa, vero, che a trent’anni una donna è finita?”

Posticipai così il mio ingresso nella calma maturità della donna concedendomi una battuta salace da ragazza permalosa: “Vorrà dire che  nel prossimo budget del marketing inserirò tra le spese di rappresentanza anche creme antiage, massaggi rassodanti e pancera per la responsabile dell’ufficio.”

Ridendo insieme a lui, archiviai la mia crisi anagrafica fino ai 40 anni, quando, fomentata da un coro di “dagli -anti non si esce”, attuavo riti scaramantici e, ancora fresca della della diagnosi della Princess, sfanculavo serenamente a destra e a manca pensando tra me e me: ” Col cazzo che mi gufate, io non mi posso permettere di morire, devo ancora fare troppe cose per Ariel!”

Passavo le giornate a pianificare e organizzare tutto, a sognare un mondo  in cui Ariel sarebbe stata amata per il suo sorriso e per la sua determinazione e non definita dai suoi deficit. A volte non avevo nemmeno la forza di scendere dal letto, rotolavo lentamente giù da esso e mi trascinavo in cucina a preparare il caffè: diedi così inizio ad una seconda dipendenza, oltre a quella da cioccolato che mi dà la forza di respirare fin dall’adolescenza.

Ora, a 46 anni, sebbene abbia un cerotto autoriscaldante sul collo a ricordarmi che svestirmi al primo caldo non è più consentito, non mi importante più un beneamato piffero degli -anta, le creme antiage che uso, a detta di Davide, non funzionano (ah, le gioie della maternità!) e ho imparato che per quanto uno possa correre e pianificare, la vita è sempre un passo avanti a noi. Non depongo le armi davanti alle difficoltà, ma ho imparato a scegliere le mie battaglie, poiché  combattere costantemente contro il mondo spesso distoglie da ciò che è veramente importante.

I sogni, quelli, invece, non li abbandono: continuo a desiderare un mondo aperto al diverso, in cui la ragazzina possa essere amata in quanto Ariel e non identificata dalla sua diagnosi che, a volte, è più fastidiosa di un’etichetta della Decathlon.

E fino a ieri sognavo un maggiordomo che ramazzasse il castello al mio posto ché le braccia e le spalle non sono più quelle di una volta.

Sognavo, perché il Principe consorte ha “vagamente” percepito il mio malumore e, per una volta, ha azzeccato il regalo giusto, non come quando, al primo Natale da conviventi, mi regalò un paio di lenzuola con i cagnolini perché “gli avevo mandato segnali inequivocabili”. Due sono le possibilità: o sono diventata più brava nell’invio di messaggi subliminali o lui ha capito che se gli parlo sempre della stessa cosa, forse la voglio. Forse.
   
Quindi sono finalmente dotata di maggiordomo 2.0.

Qualcuno sa qual è il pulsante per il massaggio cervicale?

Ariel

9 anni

Piove, fuori e dentro.

Oggi Ariel compie 9 anni.

I temuti 9 anni del “se non parlerà entro i 9 anni, non parlerà più”.

I fatidici 9 anni che fanno da spartiacque tra la bambina e la ragazzina.

I 9 anni che stanno all’infanzia come i 45 alla mezza età: giri di boa che chiudono un ciclo e ne aprono un altro.

A me i numeri dispari piacciono da sempre, ho una fissa per i numeri primi escluso l’inutile 2 che viaggia sempre in coppia perfetta.

Ariel 9 anni, io 45. Ho vissuto 5 volte la sua vita e ogni giorno imparo qualcosa da lei. È una maestra esigente, ma paziente con quest’alunna somara che recidiva sempre negli stessi errori.

Piove fuori, ma non dentro.

Ariel cresce e ogni giorno fa un importante passo da formica verso un futuro pieno di incognite, ma con una grande certezza: l’amore della sua famiglia che la avvolge e la protegge e che scalda il mio cuore di cristallo.

Piove fuori, ma dentro c’è il sole per brindare alla mia Principessa del Vento.

Tanti auguri, Princess Ariel!