Il mondo intorno a noi

La petizione

Qualche settimana fa ho aperto una petizione per richiedere i tamponi salivari a domicilio per le persone con disabilità intellettiva.

Questa mia iniziativa è nata a seguito della somministrazione del tampone naso-faringeo a mia figlia, esperienza di cui ho parlato nel mio articolo “Il prezzo della libertà”.

Se il trauma provato da mia figlia ti ha colpito e se vuoi essere di aiuto alle persone come lei, ti chiedo gentilmente di firmare e condividere la petizione qui sotto riportata:

Per i detrattori dei tamponi salivari, vi prego gentilmente di leggere questo interessante articolo sui nuovi tamponi salivari brevettati da Biofarma. https://www.ilfriuli.it/…/ecco-come-funziona…/12/232249

Ariel · Il mondo intorno a noi

Il prezzo della libertà

La libertà è arrivata su carta intestata del Dipartimento di Prevenzione, ma ha avuto un costo molto alto per uno dei membri della famiglia.

Nonostante il training sia per immagini che pratico con cotton fioc inseriti gradualmente nelle narici, il modeling (1) fatto da me, Luca e Davide, Ariel non ha voluto collaborare.

Il cambiamento di contesto, gli operatori bardati come i RIS di Parma che non sono la mamma con un bastoncino hanno irrimediabilmente stravolto la sua percezione della situazione.

La Princess non è particolarmente rigida, anzi, in alcuni frangenti è molto più flessibile della sottoscritta, ma ho notato che i training non sono di aiuto quando si tratta di visite mediche: l’impossibilità di controllare ciò che le succede, azzera la sua collaborazione.

Lunedì, quindi, nonostante tutte le tecniche e strategie adottate, per somministrare il tampone alla mia bambina, abbiamo dovuto contenerla. I sanitari erano davvero dispiaciuti, hanno tentato in tutti i modi di convincerla, sono stati davvero professionali e gentili, ma non abbiamo avuto alternative.

Ariel è stata adagiata su un lenzuolo sul lettino, dopodiché due infermieri hanno chiuso i lembi e l’hanno trattenuta, io le bloccavo i piedi e mio marito la testa, mentre una terza infermiera (una mano delicatissima, ad onor del vero), ha fatto il tampone.

Ariel ha urlato e strepitato il suo sdegno per lungo tempo sia durante che dopo la manovra.

Una volta risalita in automobile, la sua rabbia è bruscamente svoltata e ha iniziato a spegnersi.

Appena entrata in camera, ha chiuso le persiane, si è spogliata e infilata a letto, nascosta dalle coperte. È rimasta così per due ore e mezza.

Questo è il prezzo che ha dovuto pagare una bambina autistica di 9 anni: uno shutdown! (2)

Assessore Riccardi, so che mio marito Le ha già scritto in veste di Presidente dell’Associazione Noi Uniti per l’Autismo di Pordenone, ma mi permetto di rinnovare la sua richiesta: dia disposizioni affinché alle persone con disabilità intellettiva vengano somministrati i tamponi salivari e magari presso il loro domicilio. So che non sono ancora stati validati, ma anche che Lei ha particolarmente a cuore la salute ed il benessere delle persone disabili, anche in un momento così difficile per la salute mondiale.

Ognuno di noi deve fare il proprio dovere per tutelare la salute della collettività, ma la Sanità dovrebbe aiutarci al meglio delle proprie possibilità.

Contenere le persone con camicie di forza improvvisate, è una grave violazione della dignità di un essere umano.

Anche se ha 9 anni.

Soprattutto se disabile.

(1) Modeling: apprendimento attraverso l’osservazione del comportamento di un soggetto che funge da modello.
(2)  Shutdown: di fronte ad un sovraccarico emotivo, sensoriale e cognitivo, una persona autistica potrebbe andare in Shutdown: il sistema nervoso parasimpatico di fronte al sovraccarico, reagisce “chiudendo il sistema” per accumulare energie e proteggersi dall’eccesso di stimoli. Vi consiglio questo video dell’Associazione Neuropeculiar https://youtu.be/VhPeSSeI2eE

Ariel nascosta sotto le coperte e che riposa stremata dopo il tampone

N.B.: Tengo a precisare che non c’è alcun intento polemico nel mio post, né nei confronti delle procedure né delle personale che ha effettuato il tampone che è stato davvero splendido con Ariel: il mio è solo un appello ad utilizzare i tamponi salivari con le persone che non sono in grado di collaborare.


La famiglia "autistica"

Pensavo fosse un lockdown, invece è una quarantena

Una decina di giorni fa, non trovando il lievito di birra al supermercato, risi tra me e me pensando: “C’è lockdown nell’aria.”

Quando all’alba della mattina successiva Luca mi svegliò con queste ferali parole:

“HO 38,7, VADO A FARE IL TAMPONE”,

già immaginando come sarebbe andata, sbottai tra me e me:

“Cazzo, pensavo fosse un lockdown, invece è una quarantena!”

Al decimo giorno di questa clausura degna delle Carmelitane Scalze (ogni riferimenti ai piedi perennemente privi di scarpe di Ariel non è assolutamente casuale), posso dire che, per quanto mi riguarda, la quarantena è decisamente più destabilizzante del lockdown che abbiamo arricchito di nuove e inesplorate dinamiche disfunzionali.

Il pater familias è segregato nella camera dei bambini che manco Edmond Dantès a Montecristo e può usare solo il secondo bagno. Quando esce della stanza deve indossare la mascherina e i guanti e io lo seguo passo passo lungo il tragitto, armata di prodotti igienizzanti, vestita come un palombaro  e bestemmiando ad ogni goccia di detergente che cade sul pavimento in cotto.

Piccolo inciso. Caro Babbo Natale, quest’anno vorrei tanto dei pavimenti in cialtrona piastrella lavabile a 100 gradi e con i detergenti più aggressivi del mondo: i nobili, ma delicati cotto e parquet hanno francamente sfrancicato i cosiddetti. Grazie. Inciso chiuso.

Mentre noi giochiamo ai fare i galeotti senza tuta a strisce, il mondo va avanti veloce: la classe di Davide sta viaggiando con ritmi difficili da gestire da casa. La mancanza di confronto con i compagni e la mole di lavoro da recuperare accendono melodrammatiche scene di pianto e disperazione. Dirigente, abbia pietà di questa povera madre e attivi la DAD per mio figlio: le mie sinapsi e i padiglioni auricolari Le saranno eternamente grati.

In tutto questo la Princess è un bel carico da 90, nel senso che sta visibilmente aumentando di peso: come sua madre, quella gran golosa, mangia per noia. Se non mangia, beve. Amuchina per la precisione, si sta trumpizzando troppo velocemente per i miei gusti, temo che prima o poi le spunti il ciuffo color polenta!

Ogni qual volta distolgo lo sguardo da lei, è pronta a combinare un guaio: ha messo sul nostro letto il cuscino infetto sottratto dalla camera del padre, costringendomi così a cambiare le lenzuola che avevo sostituito due ore prima e a santificare prima lei e poi la camera.

Questo soggetto femminile ad alto rischio di disastro, mentre caricavo la lavatrice a 90 gradi con additivo, due caps di detersivo, il bicarbonato e la candeggina (anche se, visto il risultato finale non propriamente eccelso suppongo che tutti questi prodotti interagiscano tra di loro annullandosi l’un l’altro), ha strappato la federa del mio cuscino e riempito la camera di mimosa gommapiumosa. Così ho dovuto pulire la camera per la terza volta.

Nel mentre si è arrampicata sulla credenza e ha preso lo zucchero, lasciando una scia dolciastra dalla cucina al divano.

Ovviamente mentre spazzavo la zona giorno, con la camera chiusa a chiave, ha dirottato sul bagno dove ha svuotato due flaconi di docciaschiuma… Detta tra di noi: temo che lo abbia pure assaggiato, perché mentre mi dava bacini ruffiani per farsi perdonare, ho notato un gradevole alito profumato all’argan.

Come la sto vivendo io? Armata di guanti e mascherina, santifico casa più volte al giorno, ovviamente nel nome di San Oronzio De Nora da Altamura[1]: ormai mi sento completamente pervasa da un’aura di detergente igienizzante al limone. Quando non pulisco, giro per casa con il termoscan misurando la temperatura ai conviventi , Baloo compreso, preparo pizze e arrosti, le torte no, perché ho una lista di strepitosi amici che mi pushera i dolciumi a domicilio; scarico i compiti di Davide e cerco di aiutarlo con le parti più ostiche; somministro ad Ariel il training per il tampone di domani e partecipo con lei alle sedute on line; cerco di leggere e studiare, ma non tengo la capa fresca per farlo, scribacchio post inutili che i più dimenticheranno subito dopo il punto finale, ma che mi aiutano a rimettere il mondo in equilibrio.

Ops. Scusate, dimenticavo la cosa più importante! Due volte al giorno testo il mio olfatto con suffumigi atipici: ragù, brodo, spezzatino, diffusori al muschio bianco, detersivi…

Adesso sono seduta sul divano, vestita e truccata di tutto punto, in attesa della spesa che mi porterà mia madre: rientrare con le borse piene e le sneakers mi dà una pallida illusione di normalità.

Domani è il GGT, il Grande Giorno del Tampone, tenete le dita incrociate per noi, perché se mi costringono a fare altri 10 giorni di quarantena, darò come mio domicilio personale l’argine del Torre: meglio vivere in una tenda e litigare con ratti e volpi che affrontare un’altra quarantena con i miei congiunti, perchè, e lo dico con infinito amore, quei 4 sono un’inesauribile fonte di rottura di palle.

Donna stremata che fa suffumigi all’anatra in umido

[1] Inventore dell’Amuchina, oggi di proprietà di Angelini Pharma

Davide

Brutti mostri cattivi

Giornata difficile quella di ieri per la famiglia Apollonio.

Davide ha pressoché pianto tutto il giorno, annichilito dalla mole di compiti e dalla solitudine.

“Nessuno si ricorda di me… Almeno quando vado a scuola posso vedere i miei amici…”

Eravamo già a letto quando ho ricevuto un messaggio:

“Fossi in te direi a Davide di guardare fuori dalla finestra tra 10 minuti… Fra dieci minuti si aggireranno dei brutti mostri cattivi.”

Davide è rientrato con un’enorme zucca di carta crespa e gli occhi sorridenti.

La giornata è stata salvata da 4 spevantosi mostri dal cuore generoso.

Perché come ha detto Davide: “È in questi momenti che si vedono gli amici!” e sentirsi invisibili strappa l’anima.

Anche a 10 anni in scadenza.

Grazie Federica, grazie di cuore!

La mamma "autistica"

La rete verde

Mia nonna diceva: “Ognun al sint al sô mâl.”*

È perfettamente vero e in fondo naturale: come si può capire la vita altrui se non si vivono esperienze simili?

E anche in quel caso il sentire è estremamente personale e variabile, dipendente da mille fattori esterni.

Stavo cercando di scrivere un post ironico sulla quarantena, ma mi rendo conto che divertente ci sarebbe solo ciò che io vorrei farvi vedere.

La realtà è che ancora una volta mi trovo al confino nell’angolo più lontano dell’orto sperando di non venire inseguita dai miei congiunti.

Ho bisogno di stare da sola, ma in questa situazione non è possibile, perché, sebbene, la casa sia grande, loro mi trovano ovunque e, se mi chiudessi in camera a chiave, Ariel sfonderebbe la porta a testate. E non è una battuta.

Così sto qua a guardare il mondo da dietro una rete verde cercando la forza di rientrare in quel girone infernale che è la mia casa in questo momento.

* friulano, ciascuno sente il proprio dolore

Fotografia del confine del mio mondo
Ariel

Il Gioca Jouer della Didattica a Distanza

La Didattica a Distanza sta ad Ariel come i cavoli stanno alla merenda: se non c’è altro da mangiare e hai fame, tanta fame, li mangi sicuramente, ma sai anche che prima o poi avrai problemi intestinali.

 

Ariel non apprezza le videochiamate, fa difficoltà a rimanere seduta a seguire una lezione o un seduta terapeutica a distanza: ha bisogno del rapporto diretto, del contatto umano, senza contare non è in grado di lavorare in autonomia e contemporaneamente gestire lo strumento informatico. Pertanto io sono sempre di fianco a lei, insieme cerbero e rinforzatore, visto che lavorare con la mamma è sì molto divertente, ma le dà anche l’illusione di poter gestire i tempi e le modalità.

 

Nonostante tutto si sta adattando a lavorare con questa modalità, ma non le piace: ogni volta devo preparare tutti i materiali con largo anticipo e li dispongo nell’ordine che mi viene indicato, in modo tale che non ci siano tempi di attesa tra un’attività e l’altra, altrimenti la ragazza alza e se ne va. Non c’è strutturazione che tenga, non c’è timer che tenga: se la seduta non è un continuum fluido, Ariel ritiene assolto il suo dovere e, ciaone!, va altrove. Devo quindi riprenderla (a volte di peso) e riportarla in postazione. Se per contro è tutto ben organizzato, possiamo lavorare anche per mezz’ora di fila, soprattutto se non ci sono videochiamate, ma siamo io e lei da sole.

 

E qui subentra la mia ansia da prestazione: sento molto la responsabilità in questo momento. Mi ritrovo ad essere maestra, terapista, logopedista, educatrice, psicologa e, soprattutto, mamma e non ho una formazione specifica per nessuno di questi ruoli.

 

Cerco di preparare subito i materiali che mi vengono inviati in modo tale da capire come saranno utilizzati e ridurre il più possibile i famosi tempi morti.

 

Ormai la mia vita è diventata il Gioca Jouer della DaD: anzi potrei farci la cover! Al posto di

 

“Dormire, salutare, autostop, starnuto, camminare, nuotare
Sciare, spray, macho, clacson, campana, ok, baciare
Saluti, saluti, Superman”

 

potrei mettere

 

“Scaricare, stampare, cartuccia, carta, ritagliare, plastificare,

Tagliare, velcro, colla, pennarelli, scatola, ok, somministrare,

Ciaone, Ciaone, Azzolina”

 

Scherzi a parte: Ariel si sta lentamente abituando a questa routine, ma… Ci sono molti ma:

 

  • La prossima settimana rientrerò in ufficio: chi starà con lei (e Davide) visto che il rientro a scuola è un’utopia, il centro è ancora chiuso e i servizi domiciliari non sono ancora stati attivati?
  • Chi si siederà con lei durante le videochiamate per seguirla nella seduta? Chi le preparerà i materiali?
  • Come affronterà le nuovi fasi per un lento ritorno alla vita? Se questi cambiamenti di quotidianità stanno sconvolgendo me, adulta neurotipica, e Davide, bambino di 10 anni che sta cercando sufficiente motivazione intrinseca per fare i compiti, tenere la camera pulita e alzarsi tutte le mattine con il suo meraviglioso sorriso sulle labbra, che impatto potranno avere sulla psiche e sull’evoluzione di una bambina autistica come Ariel?
  • Abbiamo lavorato tanto per far permanere Ariel in classe visto che lei sopporta a fatica i rumori. Cosa succedere al rientro a scuola? Quanti passi indietro avrà fatto a livello di socializzazione e di capacità attentiva? Saremo in grado di reinserirla in tempi brevi?

So che alcuni bambini e ragazzi autistici si sono adattati rapidamente al lockdown, ma come reagiranno al riapertura e al ritorno alla “normalità”?

 

La cosa che mi preoccupa principalmente della DaD, ma anche delle sedute riabilitative in videochiamata, non è la brevità delle stesse, ma la mancanza di relazione diretta: chissenefrega che Ariel acquisisca nuove competenze, a me interessa solo che non si chiuda a livello sociale, com’era sei anni fa prima di iniziare la riabilitazione.

 

Ho molte domande e poche certezze, ma una cosa la so: ho bisogno di rallentare.

 

Il lockdown con una persona disabile è una fatica incommensurabile, poiché tutto grava sulle spalle della famiglia. Io sono stremata, non oso immaginare chi ha in carico un disabile adulto: a tutti loro va un mio pensiero speciale.

 

Molti mi dicono di avere un incubo ricorrente: l’esame di maturità.

 

Io no.

 

Per me la maturità non è stata un trauma e non la sogno mai, per contro sto sognando spesso di dover preparare le attività per Ariel e di essere senza carta, velcro o toner oppure di dover plastificare un grosso manuale e di non avere sufficiente tempo per finire il mio compito.

 

Ecco quello che mi rimarrà del lockdown: l’incubo 2.0.20 in cui resto senza materiali di cancelleria.

DAD

Il mondo intorno a noi

Cose da maschi e da femmine

(Come ci ha ridotti il lockdown)

 

Risate sguaiate.

Crasse risate provengono dalla cucina.

Stupita, butto dentro la testa e trovo Luca e Davide che guardano qualcosa al microscopio e si sganasciano.

 

“Embè?”

“Mamma, è bellissimo!”

“Immagino… Cosa state analizzando?”

“Una craccola di Baloo.”

“Una che…”

“Una craccola degli occhi di Baloo.”

 

Me ne vado a testa bassa, spalle curve e un pensiero sconsolato: questa è decisamente una cosa da maschi.

 

Entro in bagno e trovo Ariel che si guarda allo specchio, mentre fa la sua “faccia da selfie”.  Ok, questa è decisamente una cosa da femmine.

 

Nel mentre i due “scienziati” hanno finito e Davide è sul divano con il mio telefono. Sta chiacchierando con qualcuno. Lo lascio tranquillo e vado a sistemare la cucina, finché lo sento dire: “Sei proprio inutile e davvero poco intelligente…”

 

Cosa?! Come si permette quel decenne irrispettoso!

 

“DAVIDEE!! Con chi stai parlando?”

“Con Google. Gli ho chiesto una canzone di Bugo e mi ha proposto i Modà!”

 

Bugo…

 

“LUCAA!! Hai fatto ascoltare Bugo a Davide?”

“Solo un paio di canzoni… Quelle che ascoltavamo insieme anni fa… ‘Pasta al burro’… e ‘Casalingo’… forse ‘Io mi rompo i coglioni’, ma non ne sono sicuro…”

 

Ok, questa è una cosa troppo da maschi per il mio sensibile cuore da mamma.

 

Torno in bagno e caccio Ariel che sta ancora davanti allo specchio (mi sta diventando troppo femmina tutta d’un colpo!).

 

Mi guardo allo specchio e non posso non notare la ricrescita degna di Crudelia Demon…

 

Ok, dietro al cipiglio di mamma e moglie, c’è ancora una donna con un minimo di amor proprio: è ora di fare la tinta.

 

Prendo il tubetto del colore, l’ossigeno, la ciotolina ed il pennello, ma ho paura, troppa paura di ritrovarmi con una capigliatura animalier o camuflage: non ho mai fatto la tinta da sola e se sbaglio qualcosa?

 

Dovrei chiedere aiuto a quei tre che mi girano per casa, ma non mi fido di nessuno di loro: se Baloo avesse il pollice opponibile, chiederei aiuto a lui, in fondo è quello che ha il vello più simile al mio… tra ricci ci si capisce…

 

Idea!

 

Chiederò aiuto a Google! Mi preparo tutto il discorsetto come faccio sempre quando sono agitata:

 

“Ciao, scusa per prima, mio figlio è un gran maleducato… Google, mi troveresti un tutorial per fare la tinta da sola?”

 

Comincio: “Ciao,…”

 

Mi propone la canzone di Lucio Dalla.

 

Ok, non lo saluto… “Scusa per prima,…”

 

Google traduttore: “Excuse for before”…

 

Mmh… Ok, niente convenevoli né scuse… Si vede che è uno spiccio di modi… “Mio figlio è un gran maleducato,…”

 

Risponde con un articolo: “Caro genitore, se tuo figlio è maleducato, è colpa tua!”

 

Brutto zozzone di un impunito, come ti permetti di parlare così di mio figlio?! “Vaffanculo!”

 

Rimbecca con un video di Marco Masini…

 

“Sei un essere inutile!”

 

“Per questo sono fortunato ad avere incontrato qualcuno che mi possa rendere migliore.”

 

Eh, no! Il sarcasmo, no! “E non fare il sarcastico!”

“Ci sto lavorando!”

“Non ci devi lavorare! Devi essere più educato!”

“Ai  miei programmatori dispiacerà saperlo…”

“Ti disintegro!”

“…”

“…”

 

Come sto messa… Sono rinchiusa da così tanto tempo che pur di parlare con qualcuno esterno alla famiglia, litigo con un assistente virtuale.

 

“Scusa, Google, hai ragione tu: se mio figlio è maleducato, è colpa mia, ma tu sei davvero supponente.”

“Non ho capito, mi dispiace.”

“Sei un po’ maleducato.”

“Scusa, mi spiace molto se ti ho offesa.”

“Grazie, accetto le tue scuse. Spero che tu accetterai le mie. Scusa”

“Non fa niente.”

“Grazie.”

“Di niente, siamo una squadra!” (con tanto di emoji!)

 

Bene, pace è fatta, ma ho ancora la tinta da fare e nessuna voglia di ricominciare a litigare con Google per trovare un tutorial…

 

“Baloooo? Dove sei! Ho bisogno di te!  Mi aiuti con la tinta?”

 

google

Il mondo intorno a noi

Pensiero fisso

Ho un pensiero fisso che mi rimbalza nella scatola cranica: quando torneremo alle nostre vite, chi penserà a noi caregivers e ai nostri cari?
Le nostre energie vengono lentamente bruciate dall’accudimento costante e dalle mille abilità richieste durante questa quarantena. Ne avremo ancora a sufficienza quando riprenderemo le  nostre routine fatte di lavoro, terapie, piscina, logopedia…?

 

Chi assisterà i nostri amati genitori, figli, fratelli quando i centri e le scuole saranno ancora chiusi, i servizi assistenziali non saranno ancora riattivati, ma dovremo riprendere le attività lavorative?

Se avete le risposte, vi prego di condividerle con me, perché ci sto perdendo la testa e prova ne è che il post è di soli 800 caratteri spazi inclusi: pure la logorrea mi sta abbandonando.

Il mondo intorno a noi

Ognun al sint al sô mâl

Ognun al sint al sô mâl.

Aveva ragione la Nonna: ciascuno di noi sente il proprio dolore e lo reputa il più forte, un’esclusiva tutta nostra da poter rinfacciare al mondo come una rivalsa.

In un periodo brutale come questo, cerco di evitare i social farciti di post e commenti che nulla hanno a che fare con il quotidiano in casa Apollonio.

Invidio i commenti di chi cerca l’ennesima idea per arginare la noia, perché la noia io non me la posso concedere. Nonostante tutto l’impegno che ci metto, ogni mattina mi ritrovo esattamente a fare le medesime pulizie, novella Penelope della scopa e dello straccio, con un occhio perennemente puntato su Ariel. Appena mi giro un attimo, combina disastri di proporzioni disumane. Tempo di girare la testa e si sta masticando il tappo del pennarello. Venerdì, mentre preparavo i popcorn a Davide, ha sfondato lo sportello dell’asciugatrice e, sapendo di averla fatta grossa, lo ha nascosto nella doccia (alla faccia della proverbiale onestà delle persone autistiche). Intenta a capire se l’amato elettrodomestico fosse riparabile, sento un tonfo poderoso: in cinque minuti Ariel ha ribaltato la cassettiera della camera matrimoniale. Poteva finire molto male, evidentemente la Nonna a cui avevo appena finito di gettare uno sguardo su di noi, l’ha protetta.

Se si sommano l’ansia di Davide e la paura che mi attanaglia ogni volta che vedo arrivare una telefonata da Luca, la misura è colma: qua la noia è bandita, non ha alcun diritto di accesso tra queste quattro mura.

Mi fanno sorridere i post di coloro che parlano della strepitosa capacità di adattamento dei ragazzi autistici a questa situazione: vorrei capire a quali statistiche si riferiscono, perché Ariel non si sta adattando proprio per niente e so per certo che non è l’unica. Mi consegna la cartina della SPIAGGIA e piange per ore perché vuole uscire. Non c’è strutturazione che tenga, non c’è X rossa sulla cartina che tenga, non c’è storia sociale che tenga. Lei vuole la sua vita, lei rivuole le sue routine. Gira per casa con il vecchio planning settimanale dove ha attaccato le cartine di SCUOLA e ELENA (l’educatrice che la segue a casa). Le faccio rispettare la nuova pianificazione, fa i compiti e vivaddio che ci sono, altrimenti avremmo entrambe passato le giornate a tirare testate al muro, guarda i cartoni animati. In questi giorni la porto pochissimo sull’altalena, perché la bora è implacabile. Ci sono persone autistiche che si sono adeguate, altre lo stanno facendo più lentamente e altre ancora a cui questo lungo periodo sta creando grossi problemi. Le generalizzazioni non vanno mai bene ed è per questo motivo che non mi stancherò mai di ripetere che quando parlo di autismo, parlo di Ariel, senza alcuna pretesa di estendere il nostro vissuto al resto del mondo.

Mi infastidiscono i commenti di chi sa tutto: noi italiani siamo i massimi esperti in ogni disciplina, mai una volta che avessimo l’umiltà di dire “Non lo so, non so che cosa farei al suo posto”. Abbiamo sempre consigli ed opinioni su tutto, riusciamo ad interpretare ogni disposizione a nostro uso e consumo consigliando agli altri di “studiare l’italiano” attaccandoci alla punteggiatura, quella maledetta!, che osa dare un senso diverso ad un periodo. Le virgole sono le peggiori, sembra quasi che i politici le buttino lì a caso, per il gusto di mettere in crisi le nostre sinapsi già deteriorate dalla noia.

Per fortuna la settimana goliardica dei balconi si è chiusa senza eccessivo clamore: estinta come l’entusiasmo delle persone che finalmente hanno iniziato a capire che c’è ben poco da ridere, quando decine di camion partono dalla Lombardia con le salme di persone morte sole, senza l’abbraccio dei parenti, senza un funerale. Penso sopravvissuti, a chi ha perso un caro in questo momento, al senso di vuoto che avranno sempre tra le braccia, al rimpianto di non essere stati là a tenergli la mano.

La quarantena non è un premio vacanza, la quarantena è un modo per tutelare tutti noi da quel nemico invisibile e stronzo che sembra divertirsi alle nostre spalle.

Potrei continuare a lagnarmi per giorni e non ne ho voglia, non mi piace fare la lagna, ma non mi piacciono le diatribe del cazzo che ho letto nell’arco degli ultimi dieci giorni:

Nord contro Sud e viceversa;

Runners contro Restodelmondo;

Neurodiversi (e loro famiglie) contro Neurotipici perché “noi abbiamo sempre vissuto così”;

Le Aziende aperte contro le Aziende chiuse e viceversa…

Dipendenti contro Partite IVA;

Genitori contro Tutti “perché io cosa gli faccio fare a questi tutto il giorno?”;

Padronidigatti contro Padronidicani “perché anche Micio deve poter essere sceso a fare la pipì”;

La Bora contro la Primavera “perché tu ti credevi di essere arrivata e invece ti faccio vedere io chi è che comanda!”;

La Terza Autocertificazione contro la Seconda “perché io so più cose di te, anche da dove partono e dove arrivano!”

E potrei continuare per giorni. Dal divano del mio soggiorno assisto quotidianamente alla guerra dei poveri, mentre un virus armato di corona semina morte e dolore in tutto il mondo.

Io non ho tempo per tutto questo ed eccomi di nuova a

“Ognun al sint al sô mâl”.

Io non pretendo di capire le vostre sofferenze e sono altrettanto certa che voi, giustamente, non possiate capire le mie o quelle di chiunque altro. La mia vita è unica come lo sono le vostre e, nonostante l’empatia e la sensibilità che ognuno di noi ha, una vita per essere compresa, deve essere vissuta. Alla fine è solo questione di prospettive personali.

Questo non è il momento delle diatribe, non è il momento delle offese o delle cazzate, questo è il momento di portare rispetto per tutti coloro che combattano per la propria vita e per chi combatte per la vita degli altri, di chinare la testa di fronte a chi non c’è più e al dolore di chi ha perso parenti ed amici, di rispettare le regole senza egoistici colpi di testa e di raccogliere le forze per quando tutto questo sarà finito e dovremo rialzarci per far ripartire la nostra Italia.

Questo sbrodolo in risposta a tutti coloro che quotidianamente sono così gentili da chiedermi perché sono sparita e che ringrazio davvero molto: di salute stiamo bene ed è la cosa più importante, ma me ne sto sulle mie, perché i social in questo momento fanno più male che bene e se fosse per me, oltre alle porte e ai balconi, ai parchi giochi, ai negozi ed ai caffè, farei chiudere pure le finestre di Windows.

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